Allenamento HIIT: evidenze scientifiche oltre lo scetticismo
Oltre 20 anni di ricerche e studi scientifici ma ancora oggi molti non conoscono i benefici ottenibili con HIIT investendo meno di un quarto del tempo a disposizione con risultati sorprendenti.
Da metodo segreto militare a rivoluzione del fitness per tutte le persone
Hai la sensazione di non avere tempo per esercitarti? Cerchi un modo per rimetterti in forma velocemente? Certo che vuoi tutto ciò se sei arrivato su questo articolo. La buona notizia è che a breve ti illustrerò dati scientifici in grado si supportare la validità di un allenamento breve, infrequente ed alto rendimento.
Effettivamente l’attività fisica regolare ti fa apparire e sentire meglio. Inoltre aiuta a combattere il processo di invecchiamento facendoti trascorrere le giornate con uno spirito più felice riducendo le possibilità di sviluppare disturbi come malattie cardiovascolari, diabete e persino cancro.
Senza dubbio, l'esercizio fisico è il miglior "farmaco gratuito" in circolazione. La maggior parte di noi, tuttavia, ha l’impressione che debba richiedere molto tempo. Siamo convinti che ci voglia almeno un'ora per fare un buon allenamento. Oltre ciò, considerando anche il tempo necessario per andare e tornare dalla palestra.
Ma analizzando la cosa da un punto di vista esclusivamente scientifico, non ha senso. L’ultimo decennio ha visto un’esplosione di ricerche sull’allenamento a intervalli ad alta intensità, meglio conosciuto con il suo acronimo HIIT che può aumentare l’efficienza in termini di tempo di una sessione. L'allenamento a intervalli di sprint, o SIT, che è la versione più estrema della tecnica, caratterizzata da alcune brevi esplosioni di esercizio, è particolarmente potente. Non stiamo parlando solo di correre. Le tecniche HIIT possono essere applicate praticamente a qualsiasi modalità di esercizi tradizionali come ciclismo, nuoto o canottaggio.
Pensa per un momento al concetto tradizionale di ciò che serve per mettersi in forma. La maggior parte di noi immaginerà un'attività che richiede ore e ore di duro lavoro. Tanti chilometri pedalando in sella alla bici. Pomeriggi interi a percorrere percorsi di corsa. Bracciate infinite in piscina. Molti di noi hanno la sensazione che semplicemente non ci sia abbastanza tempo per adattarsi a un allenamento.
In oltre vent'anni di pratica, ho scoperto che il fitness è possibile senza passare innumerevoli ore in palestra. Non voglio dire che tutte le persone che lo fanno stiano perdendo tempo. Ma esiste un metodo che ti consente di trarre benefici con pochi minuti al giorno. È possibile incorporare strategie per trasformarti da fuori forma a riadattato nel minor tempo possibile.
Lo so, molti personal trainer e celebrità dell'allenamento promettono tali benefici. Ma non hanno la profonda conoscenza scientifica che deriva dall’essere un ricercatore senza scopo di lucro se non il proprio benessere psicofisico.
Un modo più efficiente in termini di tempo per allenarti
Allora, cos'è l'allenamento a intervalli? Fondamentalmente, si tratta di esplosioni di esercizio intenso separate da periodi di recupero, che possono comportare riposo completo o attimi a bassa intensità. Comprendere il concetto è più semplice se lo si confronta con un regolare allenamento di resistenza. Questo è il genere di cose che la maggior parte delle persone immagina quando pensa di uscire per una corsa. Oppure fa una nuotata o una camminata. Il punto è che l’allenamento fisico tradizionale prevede il percorrere una certa distanza a un ritmo relativamente costante.
Uno sforzo costante potrebbe durare quarantacinque minuti, un’ora, novanta minuti o anche di più. Quando il tempo te lo permette, è meraviglioso uscire e semplicemente correre o pedalare. Questo tipo di allenamento, in grado di sfruttare la Zona 2, ha molti benefici terapeutici. Riduce lo stress e può offrire l’opportunità di godersi la vita all’aria aperta. Io stesso amo follemente la camminata. Ma è tutt’altro che il modo più efficace per allenarsi.
Se il tempo è la nostra risorsa più preziosa e stiamo cercando di ottenere il massimo beneficio dall’esercizio nella minore durata possibile, allora è meglio utilizzare tecniche di allenamento a intervalli.
L'idea è di variare l'intensità del tuo allenamento. Vai duro, rilassati, vai duro, rilassati. Più duro vai, più breve sarà la durata e meno intervalli saranno necessari per ottenere gli stessi benefici di un allenamento di resistenza molto più lungo.
Le persone da secoli cercano di ottenere benefici dell'esercizio fisico in modi che richiedessero meno tempo. La prestigiosa rivista Cell pubblicò uno studio su un composto, noto con l'acronimo AICAR, che aiutava i topi sedentari a correre il 44% più lontano rispetto ai topi non trattati. Lo studio suscitò grande entusiasmo riguardo alla possibilità di sviluppare una pillola per l’esercizio fisico, ma nessuno fu in grado di replicare i risultati sugli esseri umani.
L'allenamento a intervalli è la cosa più vicina ad una pillola del genere per noi. E negli ultimi dieci anni c’è stata un’esplosione di ricerche su questa tecnica. L'HIIT potrebbe rappresentare il più grande risparmio di tempo dopo l'uso delle microonde. E' così popolare che si classificò in cima nella lista annuale delle tendenze del fitness a livello mondiale compilata dall'American College of Sports Medicine, la più grande organizzazione di medicina sportiva e scienza dell'esercizio fisico nel mondo. Tutt'oggi, personal trainer di tutto il mondo, da New York a Hong Kong, organizzano lezioni di fitness basate su questi principi.
Anche se sei in sovrappeso o fuori forma, esiste un allenamento a intervalli adatto a te. Questa entusiasmante scienza dell’esercizio a intervalli può essere adottata per aiutare tutti a mettersi in forma, specialmente le persone che molto tempo fa rinunciavano all’attività fisica perché sentivano di non avere tempo.
L'allenamento a intervalli è perfetto soprattutto per coloro che hanno poco tempo: dai dirigenti che viaggiano spesso in città ai genitori.
Le linee guida sulla salute pubblica generalmente richiedono almeno due ore e mezza a settimana di esercizio fisico di intensità moderata per ottenere benefici per la salute. Gli appassionati di fitness devoti spesso programmano almeno un'ora per allenamento. Mentre l'HIIT è un modo per ottenere i benefici di una corsa di un'ora o di un giro in bicicletta in una frazione del tempo. Nella forma più estrema, conosciuta come allenamento a intervalli di sprint, è possibile ottenere gli stessi benefici con soli tre minuti di duro esercizio a settimana.
La tecnica può essere applicata praticamente a qualsiasi tipo di esercizio e le versioni più efficienti in termini di tempo includono elementi che migliorano sia la salute cardiovascolare che la forza: movimenti a corpo libero, flessioni, piegamenti e trazioni: tutti si adattano alle tecniche di allenamento a intervalli.
Come emerse l'HIIT
L’allenamento a intervalli a quel punto era in gran parte limitato al dominio di individui altamente allenati che si concentravano sulla prestazione atletica. Poche persone normali eseguivano allenamenti basati su intervalli. Spiegare perché la persona media non apprezzava il valore degli intervalli richiedeva di imparare qualcosa sul modo in cui funziona il corpo.
Fitness significa cose diverse per persone diverse. Un parametro che può essere misurato in laboratorio è il consumo di ossigeno o “VO2max" (la "V" sta per "volume"). Si riferisce alla capacità del corpo di trasportare e utilizzare l'ossigeno. Gli scienziati scoprirono che è uno dei migliori previsori della salute generale. Più sei in forma aerobicamente, meglio il tuo cuore potrà pompare il sangue. Più tempo ti occorrerà per rimanere senza fiato e più lontano e più velocemente riuscirai ad andare in bicicletta, correre o nuotare. E' anche la forma di fitness che ti aiuta a vivere meglio e più a lungo riducendo le possibilità di sviluppare disturbi come malattie cardiovascolari e diabete.
Allora come si costruisce la capacità aerobica? Per molto tempo, molti allenatori e atleti credevano che fosse necessaria un’enorme quantità di esercizi eseguiti a un ritmo moderato. Questo pensiero si riflette nelle linee guida sulla salute pubblica che generalmente richiedono 150 minuti di esercizio fisico di moderata intensità a settimana per ottenere benefici per la salute. Due ore e mezza al minimo, sebbene ciò rappresenti meno del 2% delle ore totali in una settimana, si tratta comunque di un impegno sostanziale per la maggior parte delle persone che - appunto - citano la “mancanza di tempo” come il principale ostacolo all’esercizio fisico.
Il problema è che queste linee guida spaventano molte persone allontanandole dall’esercizio. Molte sono davvero incredule al riguardo. Infatti, solo il 15-20% soddisfa effettivamente questi suggerimenti.
La gente credeva che non esistesse altro modo. Secondo il vecchio pensiero, si credeva che gli sprint aiutassero a potenziare la velocità e non l'attività aerobica. Allenatori e scienziati pensavano che non sarebbero stati di grande aiuto nelle gare più lunghe. Né sarebbero di grande aiuto per la salute o la forma fisica generale. Questa, almeno, era la saggezza convenzionale negli anni prima che giungesse una nuova comprensione della fisiologia dell’esercizio a intervalli.
Il fascino degli intervalli
La vecchia linea di pensiero cambiò radicalmente negli ultimi dieci anni, grazie all’esplosione della ricerca sui benefici dell’esercizio fisico a dosi ultra-basse. Ora sappiamo come applicare anche in casa un allenamento sulla cyclette a intervalli e migliorare con brevi sessioni la capacità aerobica conferendo benefici per la salute che normalmente associamo a quantità sostanzialmente maggiori di allenamento di resistenza.
Ma come può l'allenamento a intervalli aumentare la capacità aerobica essendo un esercizio anaerobico?
Questa domanda era basata su un malinteso durato molti anni. Ebbe a che fare con i sistemi energetici aerobici ed anaerobici del corpo. Lo spiegherò più dettagliatamente più avanti, ma per ora ricorda che il corpo ha due modi principali per alimentare il movimento: anaerobico quando richiede molta potenza, come quando si sollevano pesi pesanti o si fa uno sprint al massimo delle capacità. Mentre, attinge principalmente all'aerobico quando esegue movimenti meno intensi per periodi di tempo più lunghi (jogging oppure andare in bicicletta per lunghe distanze).
Ma cosa avviene durante lo sprint? Questi sono particolarmente gravosi per il sistema aerobico. Per illustrare questo punto, basiamoci su una ricerca condotta presso McMaster . Nello studio, i soggetti eseguirono una serie di tre sprint totali di trenta secondi su una bicicletta, separati da quattro minuti di riposo nel mezzo.
La maggior parte dell'energia derivava dal sistema anaerobico, anche se il contributo del sistema aerobico aumentava nel corso dello sprint. Questo schema cambiava nel corso del terzo sprint, con il sistema aerobico che rappresentava una percentuale maggiore dell'energia. La precisa distribuzione dell’energia dipendeva da molti fattori, tra cui la durata degli sprint, i periodi di recupero e il numero di cicli lavoro-riposo completati. L'obiettivo er come ripetere la base modello di sprint, riposo, sprint, riposo.
Se le persone lo facessero soltanto intervalli? Che vantaggio fornirebbe? Come influenzerebbe il condizionamento aerobico? Certamente c’erano indizi sparsi in tutta la letteratura scientifica. Uno studio del 1973 sulle reclute militari svedesi condotto dal fisiologo scandinavo Bengt Saltin, concluse che la forma fisica poteva essere rapidamente migliorata con l’allenamento a intervalli nonostante un breve investimento di tempo. Il ricercatore giapponese Izumi Tabata dimostrò nel 1996 che l'allenamento con intervalli brevi e intensi potevano migliorare sostanzialmente la capacità cardiorespiratoria. Due anni dopo, Duncan MacDougall, dimostrò che l’allenamento a intervalli brevi e intensi potrebbe aumentare notevolmente la quantità di mitocondri nei muscoli, i corpi cellulari che utilizzano l’ossigeno per bruciare combustibili per produrre energia.
Uno studio che cambiò la vita
Con gli allenamenti che lo facevano sentire generalmente sopraffatto, a corto di tempo e fuori forma, il dottor Martin Gibala dell'Università McMaster, intraprese una ricerca non certo facile. Voleva capire gli effetti dell'allenamento a intervalli e se fossero un modo più efficace di esercitarsi. Cominciò a concentrarsi sul come poco l’esercizio fisico poteva essere in grado di fornire benefici per il fitness.
Quanti intervalli dovrebbero esserci? Quanto dovrebbe durare ciascuno? Quanti giorni di riposo dovrebbero intercorrere tra loro? Erano le domande che lo assillavano.
Lesse un esperimento semplice, breve e mirato per esaminare la potenza degli intervalli ad alta intensità. Grazie al lavoro degli accademici coinvolti, scoprì che gli intervalli miglioravano la forma cardiovascolare e il numero di mitocondri nel tessuto muscolare. Ma non sapeva ancora come questi adattamenti avessero luogo rapidamente, né sapeva quanto poco esercizio fosse necessario per innescare i benefici. Inoltre, non aveva idea del potere che gli sprint avevano nel migliorare le prestazioni durante un buon esercizio aerobico a stato stazionario in vecchio stile.
L’esperimento iniziale affrontato esaminava una manciata di sprint su come potessero migliorare le prestazioni di resistenza. Funzionò in questo modo: valutare per quanto tempo i soggetti potevano pedalare su una bicicletta stazionaria impostata su un carico di lavoro fisso nell'arco di due settimane.
Le sei sessioni di allenamento condotte dai soggetti richiedevano loro di fare uno sprint su una bicicletta stazionaria. Il protocollo specifico è noto come test Wingate (dal nome dell'istituto sportivo israeliano in cui venne sviluppato, il Wingate Institute), progettato per misurare la prestazione di potenza: lo sforzo esplosivo totale necessario per andare in bicicletta, pattinare, correre o nuotare il più velocemente possibile. In pratica, salti in sella e pedali più forte e veloce che puoi per trenta secondi contro un'elevata resistenza. L'idea era quella di dare il massimo andando come se stessimo correndo per salvare un bambino da un'auto in arrivo.
Durante il test del ciclo Wingate, ci si sentiva come se avessimo i postumi di una sbornia da alcol nei polpacci. La faccia si contorce emettendo rumori che assomigliano ad un concerto di heavy metal. Il lato positivo è che tutto si riduceva in 30 secondi. Battute a parte, il concetto è dare il massimo.
Otto soggetti dell'esperimento nel Dipartimento di Kinesiologia di McMaster partecipavano ad attività atletiche un paio di volte a settimana ma non erano coinvolti in alcun tipo di programma di allenamento strutturato. La prima sessione prevedeva quattro cicli di ciclismo da trenta secondi ciascuno, con quattro minuti di riposo intermedi. Le sessioni di allenamento si svolsero nel laboratorio dell'Exercise Metabolism Research Group.
Le sessioni di allenamento furono piuttosto intense. I soggetti venivano “incoraggiati verbalmente” durante i loro sprint.
Al termine delle due settimane di formazione, verso la parte finale dell'esperimento, chiesero ai soggetti di pedalare su una bicicletta stazionaria impostata su un carico di lavoro fisso il più a lungo possibile. Successivamente chiesero loro di farlo di nuovo. Questa fu la misurazione chiave dello studio, in cui venne valutato il potenziale beneficio prestazionale delle sessioni di allenamento sullo sprint. Stavano testando il risultato di sole sei sessioni di allenamento. Il tempo totale trascorso nell’esercizio fu di soli sedici minuti.
Uno dopo l'altro, gli otto soggetti dell'allenamento sprint condussero i test finali. Quando arrivarono i risultati, fu difficile mantenere quella facciata di imparzialità. I numeri erano pazzeschi. I velocisti avevano raddoppiato i loro tempi di resistenza. In media, prima dell'allenamento, gli otto soggetti potevano pedalare sulla bicicletta per ventisei minuti fino all'esaurimento. Dopo le sei sessioni di allenamento a intervalli, il tempo medio fu di cinquantuno minuti. Un risultato sorprendente.
Quello fu il momento in cui capirono quanto fossero potenti gli intervalli di sprint e quanto avessero il potenziale per migliorare la forma fisica generale. Era incredibile: all'incirca nel tempo necessario per lavare i piatti, questi giovani uomini e donne avevano raddoppiato la loro capacità di resistenza.
Gli sprint mutarono i corpi dei soggetti anche in altri modi. Ottennero biopsie dei muscoli della coscia prima e dopo l'allenamento. Queste, mostrarono che dopo l'allenamento i soggetti avevano un numero significativamente maggiore di mitocondri nei muscoli, poiché un marcatore enzimatico chiave, la citrato sintasi, era aumentato del 38%. Ciò è importante perché i mitocondri sono le centrali elettriche dei muscoli. Parleremo più approfonditamente della fisiologia dell’allenamento, ma in breve, più mitocondri significano che puoi generare energia aerobica più velocemente e con meno fatica.
Fu la prima volta che venne dimostrato come volumi di allenamento così bassi avevano effetti così potenti. C'era qualcosa di molto potente nel dare il massimo sforzo possibile. Questi intervalli brevi e intensi (un esercizio apparentemente “anaerobico”), sembravano avere una sorta di capacità quasi magica di migliorare il metabolismo energetico aerobico. I ricercatori non riuscivo a capacitarsi di quanto poco esercizio fosse necessario per produrre effetti così enormi ovvero un raddoppio della capacità di resistenza in sole sei sessioni di allenamento con solo sedici minuti di duro esercizio. Sembrava miracoloso.
Pensarono quindi che i risultati sarebbero stati gli stessi per qualunque attività favorevoli a un approccio sprint, come corsa, canottaggio e persino salire le scale. E negli oltre dieci anni trascorsi da allora, questa aspettativa venne confermata.
Una delle riviste più importanti nel campo della fisiologia, Journal of Applied Physiology, pubblicò lo studio il 1° giugno 2005. Oltre ciò, un editoriale che sottolineava la "potenza di un esercizio molto intenso”, scritto da Edward F. Coyle, fisiologo dell’Università del Texas ed esperto di prestazioni umane. Sembrava proprio che questa fosse la prima documentazione scientifica che un allenamento di sprint molto intenso in persone non allenate aumenta notevolmente la resistenza aerobica. L’allenamento intenso a intervalli di sprint offriva un ottimo rapporto "qualità-prezzo”.
Il secondo esperimento
Per quanto ne sapevano, nessuno aveva mai paragonato un allenamento che prevedeva pochi intervalli brevi e intensi con una grande quantità di esercizio continuo e stazionario.
Decisero quindi di confrontare il programma di allenamento per lo sprint con un regime faticoso di resistenza di intensità moderata basato sulle linee guida tipiche dell'attività fisica. Reclutarono venti persone divise in due gruppi, con cinque uomini e cinque donne in ciascuno. Erano simili ai soggetti del primo studio: principalmente studenti universitari che praticavano sport intramurali e qualche esercizio fisico abituale ma che non seguivano alcun tipo di regime di allenamento strutturato.
Un gruppo venne sottoposto ad un regime di allenamento di resistenza piuttosto rigoroso per sei settimane. Questi soggetti utilizzavano biciclette stazionarie cinque giorni alla settimana per quaranta-sessanta minuti al giorno. Pedalarono ad un’intensità pari al 65% della loro capacità aerobica massima che rientra nell’intervallo moderato raccomandato nelle linee guida sulla salute pubblica. Il ritmo era sufficiente per aumentare la frequenza cardiaca e farli sudare.
Invece il gruppo di allenamento a intervalli, eseguì un regime di allenamento di sei settimane, ma che richiese molto meno lavoro e tempo. Venne modellato dopo il protocollo utilizzato nel primo studio. I soggetti trascorsero un paio di minuti di riscaldamento sulla cyclette. Quindi effettuarono uno sprint di trenta secondi. Riposarono per quattro minuti e mezzo per poi affrontare un altro sprint, ripetendolo da quattro a sei volte. Invece di allenarsi cinque giorni alla settimana, si allenarono tre giorni.
A questo punto, è importante capire quanto poco esercizio svolse il gruppo di allenamento a intervalli. Il tempo totale settimanale trascorso ad allenarsi fu solo un terzo di quello del gruppo di allenamento di resistenza. E questo incluse anche i periodi di riposo che richiesero ai nostri soggetti del test di pedalare a un ritmo lento. In realtà, semplicemente girarono lentamente i pedali mentre si riprendevano dall'intervallo precedente.
Se si contano solo gli intervalli, cioè se si somma il tempo richiesto ai soggetti del test per eseguire esercizi pesanti, i velocisti si allenarono per poco meno di dieci minuti a settimana. Confrontalo con le quattro ore e mezza di esercizio continuo di intensità moderata a settimana dell’altro gruppo, il tempo dedicato all'allenamento dai velocisti fu inferiore al 5% rispetto al gruppo di resistenza.
Un altro modo per confrontare i due gruppi fu considerare la quantità di energia spesa mentre pedalavano. Misurarono il lavoro in Kilo Joule (kJ), un'unità di energia. Gli istruttori di resistenza completarono 2.250 kJ in una settimana di allenamento. Si trattava di energia sufficiente per mantenere accesa una lampadina da 75 watt per più di otto ore. Nel frattempo, i velocisti ne completarono solo un decimo. Facevano solo circa 225 kJ di lavoro a settimana: energia sufficiente per mantenere accesa la lampadina per circa cinquanta minuti.
Come vennero confrontati i risultati dei due gruppi? Fondamentalmente, i miglioramenti furono gli stessi per ogni parametro di fitness misurato. Ciò significa che entrambi i gruppi migliorarono dopo la formazione, ma senza rilevare alcuna differenza significativa nell'entità del cambiamento tra i due gruppi. L'aumento della capacità aerobica? Lo stesso. L’aumento dei mitocondri nei muscoli dei soggetti? Lo stesso. Il cambiamento nel consumo di carburante e, in particolare, la capacità dei soggetti di bruciare grassi durante l’esercizio? Lo stesso.
In breve, l’esperimento dimostrò che circa dieci minuti di esercizio intenso alla settimana migliorano la forma fisica generale nella stessa misura di quattro ore e mezza alla settimana di allenamento di resistenza tradizionale. Fu strabiliante. Un piccolo allenamento di sprint aveva sul corpo umano lo stesso effetto di un sacco di allenamento di resistenza nonostante un volume di formazione e un impegno di tempo molto inferiori.
Quindi è possibile rimettersi in forma in pochi minuti a settimana?
La risposta è un sì inequivocabile. Ricordi quegli allenatori e preparatori che pensavano che gli intervalli fossero solo per i velocisti? Che non potevano fare molto per il condizionamento aerobico? Si sbagliavano. Gli intervalli ad alta intensità possono essere il metodo più potente mai scoperto per migliorare la capacità cardiorespiratoria.
In condizioni rigorosamente controllate, in esperimenti pubblicati sulle più rinomate riviste di fisiologia peer-reviewed, dimostrarono che piccole quantità di allenamento a intervalli possono produrre benefici di solito associati a grandi quantità di allenamento di resistenza.
Più vai forte e veloce, meno tempo richiederà l'esercizio. Potrai ottenere i benefici di un regime di esercizi di resistenza con meno del 5% del tempo impiegato in esercizi intensi, il 10% del lavoro svolto e solo un terzo dell'allenamento totale.
Come funziona l'intensità
Non tutti erano convinti dai primi studi sull’allenamento a intervalli. Da un lato era comprensibile lo scetticismo. Ma subito dopo la pubblicazione dello studio, condussero ulteriori esperimenti che convalidarono i risultati iniziali. Altri scienziati in tutto il mondo replicarono i risultati. L'allenamento a intervalli era reale. Ma perché funzionava? Come fu stato possibile che quantità così piccole di esercizio fisico portavano benefici così grandi?
Queste furono le domande che alcuni dei migliori scienziati dell’esercizio fisico al mondo si ponevano a metà degli anni 2000.
Per capire cosa accadde dopo, fu necessario capire alcune cose sulla fisiologia del fitness. Un aspetto importante è la capacità del cuore e dei polmoni di pompare sangue e ossigeno in tutto il corpo. Questo è ciò che la maggior parte delle persone intende quando parla di “cardio”. Un altro componente del fitness è la capacità dei muscoli di utilizzare l'ossigeno che viene erogato. I muscoli lo utilizzano per bruciare combustibili come zuccheri e grassi, in un processo complesso che produce la molecola carica di energia nota come adenosina trifosfato o ATP.
Ogni movimento che facciamo richiede ATP e il corpo ha un sistema complesso e straordinario per garantirla quando ne abbiamo bisogno. Mentre sei seduto in silenzio, ad esempio, leggendo un libro sull'allenamento a intervalli, la tua richiesta complessiva di ATP è relativamente bassa. Quindi tutte le cose che il tuo corpo fa per fornire ATP ai tuoi muscoli tendono ad essere rilassate e lente, inclusa la frequenza cardiaca e respiratoria, la quantità di ossigeno che distribuisci ai muscoli. Ma ipotizziamo che all'improvviso scatta un allarme antifumo, c'è un incendio e devi correre verso la salvezza il più velocemente possibile. La tua richiesta di ATP salirà alle stelle, quindi il tuo cuore batterà più velocemente e il tuo respiro diventerà più profondo e faticoso.
Facciamo un passo indietro e guardiamo cosa è successo al tuo corpo nel momento in cui hai iniziato a correre dal fuoco. Hai sentito l'allarme antifumo, ti sei alzato dal divano e hai iniziato a correre fuori di casa. Per permetterti di farlo, nel corpo sono accadute un sacco di cose contemporaneamente. Tutti coinvolgevano la molecola carica di energia ATP.
I muscoli immagazzinano solo una piccola quantità di ATP. È una molecola relativamente pesante e quindi semplicemente non è efficiente tenerla a portata di mano in grandi dosi. Invece di immagazzinare grandi quantità di ATP, il tuo corpo accumula energia in altri modi. È simile al modo in cui tieni i tuoi soldi. Potresti tenere un sacco di denaro da spendere sotto forma di monete ma saranno scomodamente pesanti. Più efficiente invece conservare i fondi nella forma più compatta. Invece di portare in tasca enormi quantità di monete, tieni una mazzetta di banconote di vari tagli. Poi “converterai” la somma quando dovrai spendere i soldi.
I muscoli fanno qualcosa di simile con l’energia. Una forma conveniente è una molecola chiamata fosfocreatina. Pensa a questa molecola come alle banconote nel tuo portafoglio. La fosfocreatina è facile da convertire, ma si tende a non conservarla in grandi quantità. Viene utilizzata per rifornire immediatamente l'ATP quando il muscolo inizia a contrarsi. La fosfocreatina alimenta la maggior parte dell’energia durante i primi secondi di sprint. Questo processo è estremamente veloce ma la capacità è molto limitata.
Un altro processo che può fornire ATP in tempi relativamente brevi è la glicolisi anaerobica, che comporta la parziale scomposizione degli zuccheri immagazzinati nei muscoli. Il processo è rapido ma piuttosto inefficiente e può essere ostacolato dalla formazione di sottoprodotti metabolici di cui il più classico è l'acido lattico che si accumula nei muscoli dei velocisti ed è uno dei motivi per cui alla fine rallentano durante una gara. Il ruolo della formazione di acido lattico nell’affaticamento è in realtà un argomento piuttosto controverso. Per i nostri scopi, basti dire che la glicolisi anaerobica è un sistema a capacità limitata.
Di gran lunga, il modo più efficiente per fornire energia è attraverso un processo chiamato metabolismo ossidativo che prevede l’uso dell’ossigeno per bruciare combustibili come zuccheri e grassi (le banconote di grosso taglio nel tuo portafoglio). Sebbene sia più lento degli altri due processi, il metabolismo ossidativo fornisce la capacità di utilizzare molti combustibili diversi. L’altro aspetto positivo è che, data un’adeguata disponibilità di carburante, la capacità è quasi illimitata.
Il metabolismo ossidativo è davvero un processo ingegnoso. È una questione talmente complessa che uno degli scienziati che contribuirono a capirla, vinse un premio Nobel. Ma cosa succede nella cellula muscolare quando arriva l'ossigeno? La parte del leone in questo processo di produzione di ATP avviene in strutture specializzate nella cellula già citate chiamate mitocondri che aspirano ossigeno e combustibili per generare energia elevata. Più mitocondri ha una cellula, maggiore è la sua capacità di produrre ATP per produrre energia. Ad esempio, gli spermatozoi sono cellule relativamente piccole, ma il loro punto centrale è pieno di mitocondri per meglio alimentare il movimento della coda che spinge lo spermatozoo verso l'ovulo.
Per riassumere, la chiave del metabolismo aerobico sta nel fornire ossigeno e carburante ai mitocondri nei muscoli. Ciò determina in gran parte la nostra capacità di eseguire esercizi e - di conseguenza - il nostro livello di forma fisica generale. Quando ci alleniamo regolarmente, il corpo migliora in ogni fase del processo. La sfida fu quella di determinare perché gli intervalli fossero così efficaci nel potenziare il metabolismo aerobico. Letteralmente, in che modo gli intervalli “segnalavano” al corpo la necessità di apportare modifiche?
La risposta all'esercizio fisico
L’esercizio fisico è tradizionalmente raggruppato in due grandi categorie. Quello di resistenza si riferisce in genere ad un’attività di lunga durata, di intensità da bassa a moderata che aumenta la capacità del corpo di utilizzare l’ossigeno per produrre energia per movimenti sostenuti. Molte persone quando pensano a questo tipo di esercizio pensano al jogging, sebbene comprenda di tutto, dal nuoto a lunga distanza al ciclismo.
L'altra categoria comprende esercizi intensi di breve durata che di solito sono associati allo sviluppo della forza e delle dimensioni dei muscoli. Questo tipo di allenamento di resistenza comprende le flessioni e piegamenti a corpo libero, gli esercizi pesanti con bilanciere, nonché i numerosi esercizi eseguibili sulle macchine dotate di pulegge presenti nei centri fitness.
L’interval training occupa una via di mezzo tra le due grandi categorie. È di breve durata e ad alta intensità, come l’allenamento di forza, ma innesca sul corpo gli effetti che in precedenza associavamo all’allenamento di resistenza, in molto meno tempo.
Prima di capire perché l’allenamento a intervalli è così efficace, consideriamo innanzitutto come il corpo risponde a qualsiasi tipo di esercizio. Un medico di nome Hans Selye negli anni ’30 sviluppò una teoria sul modo in cui il corpo risponde allo stress.
A riposo sei in uno stato chiamato omeostasi. La frequenza cardiaca e la frequenza respiratoria sono relativamente basse e costanti ed esiste una buona corrispondenza tra la richiesta di energia del corpo e la sua capacità di fornirla. Ma una volta che inizi a fare esercizio, il disturbo dell’omeostasi manda il corpo fuori controllo. Questo necessita di più ossigeno di quello che gli dai. Aumenta la frequenza cardiaca respirando più velocemente per fornire più ossigeno ai muscoli. Poi, una volta che il fattore di stress scompare e il corpo si riprende adattandosi in modo che la prossima volta che si presenterà lo farà in misura minore.
Prendi il ciclismo. Se premi i pedali così forte da avere difficoltà a respirare, e lo fai abbastanza a lungo e con sufficiente frequenza, il tuo corpo cambierà in modo che la prossima volta che salirai su una bicicletta, non avrai più difficoltà a respirare.
Il concetto è piuttosto semplice, ma la ristrutturazione che avviene è incredibilmente complessa. Ripetuto nel tempo, l'esercizio provoca una risposta nel corpo simile a una grande ristrutturazione di un edificio, tranne per il fatto che il normale lavoro svolto all'interno deve continuare durante la costruzione. Il corpo è come un terminal aeroportuale che viene completamente modernizzato mentre rimane operativo. La risposta all’esercizio di resistenza comporta cambiamenti in ogni elemento del percorso che controlla l’apporto e l’utilizzo dell’ossigeno per produrre energia.
Col passare del tempo il tuo cuore diventa una pompa migliore e più forte, in modo da espellere più sangue ad ogni battito. Le arterie diventano più flessibili per spingere meglio il sangue attraverso il sistema. Piccoli vasi sanguigni chiamati capillari crescono attraverso il tessuto muscolare per fornire in modo più efficiente l'ossigeno trasportato dal sangue alle fibre muscolari. E nei muscoli crescono più mitocondri, le centrali elettriche che effettivamente utilizzano l’ossigeno per bruciare il carburante per produrre ATP. Gli atleti di resistenza altamente allenati hanno circa il doppio dei mitocondri nei loro muscoli rispetto al teledipendente medio.
È davvero un processo straordinario. Pensa a un tubo da giardino. Se avesse la stessa risposta allo stress dei vasi sanguigni, diventerebbe più largo e flessibile ogni volta che innaffi il prato. Non solo: potrebbero anche spuntare tubi più piccoli che serpeggiano fuori dal condotto principale per distribuire meglio l'umidità su ogni singolo filo d'erba.
Allora come funziona il corpo? Quando si tratta di cellule muscolari, alcune proteine fungono da indicatori di carburante molecolare. Proprio come una spia sul cruscotto della tua auto si accende quando il livello del carburante nel serbatoio diminuisce, le proteine nei muscoli vengono attivate quando i livelli di carburante diminuiscono. Ricorda che il nostro carburante più importante è l’ATP. Una delle molecole più importanti che rilevano il carburante si attiva quando i livelli di ATP diminuiscono.
L’energia immagazzinata nell’ATP è un po’ come una batteria ricaricabile. Mentre ti alleni, i tuoi muscoli consumano l'energia disponibile. L'ATP viene convertito in due sottoprodotti metabolici chiamati adenosina difosfato (ADP) e adenosina monofosfato (AMP). Queste molecole sono come batterie esaurite che possono essere ricaricate. Quando il corpo rileva che ci sono molte batterie scariche in giro, altri segnali proteici vengono attivati.
L’AMP in particolare innesca l’attivazione della proteina chinasi attivata da 5’-adenosina monofosfato, o AMPK. A sua volta, l'AMPK attiva una proteina chiamata coattivatore gamma 1alfa del recettore attivato dal proliferatore del perossisoma, a cui la maggior parte dei fisiologi si riferisce con la sua forma breve, PGC-1α (quell'ultimo simbolo è pronunciato "alfa").
PGC-1α risulta essere una molecola piuttosto speciale. Alcune persone la chiamano “regolatore principale” a causa del suo ruolo cruciale nella costruzione di più mitocondri, importante perché aggiuntivi aumentando la capacità di costruire più molecole di ATP utilizzando l’ossigeno per bruciare zuccheri e grassi. Alcuni scienziati ritengono inoltre che il PGC-1α aiuti a prevenire il decadimento muscolare legato all’età. La conclusione è che PGC-1α è un segnale chiave che innesca il rimodellamento dei muscoli scheletrici, consentendo al corpo di eseguire l'esercizio più a lungo rispetto a prima.
Cosa c'è di diverso nell'allenamento a intervalli
Quindi ecco a che punto siamo finora: l’esercizio, dice la teoria, consuma ATP, creando molto AMP, che poi attiva una serie di segnali, incluso il PGC-1 o interruttore principale. Ma quanto esercizio fisico è necessario per innescare questo processo? Uno studio svizzero del 2005 suggerì che l’interruttore principale PGC-1α poteva essere attivato solo con contrazioni ripetute e sostenute per più di un'ora alla volta. Era un sacco di lavoro da fare!
Eppure osservarono un rimodellamento muscolare simile innescato anche solo da pochi minuti di attività a settimana. Parliamo di un esercizio davvero duro.
Successivamente, presentarono uno studio su Journal of Physiology cui sedici studenti in età universitaria eseguirono sei sessioni di formazione nell'arco di due settimane. In ogni sessione di allenamento, metà dei soggetti pedalarono continuamente per 90-120 minuti ad un ritmo di intensità moderata. Gli altri otto soggetti da quattro a sei sprint da 30 secondi a un ritmo totale, separati da 4 minuti di recupero. L’impegno di tempo totale del gruppo di allenamento di resistenza fu di 10,5 ore nel periodo di due settimane. Al contrario, quello di allenamento per il gruppo sprint fu di circa 2,5 ore, compresi i periodi di recupero, sebbene la quantità totale di esercizio duro per il gruppo sprint fu di soli 18 minuti.
Una volta trascorse le due settimane, i test rivelarono che i due gruppi migliorarono in misura praticamente identica in ogni misura testata. Dimostrarono cambiamenti notevolmente simili nella composizione molecolare dei loro muscoli. Considerando la differenza nel tempo di allenamento dei due gruppi, fu un risultato incredibile. Un totale di soli 18 minuti di esercizio molto intenso produssero gli stessi benefici di 10,5 ore di allenamento di resistenza tradizionale.
Per i fisiologi e per chiunque altro seguisse la scienza dell’esercizio fisico, l’allenamento a intervalli sembrava una scorciatoia miracolosa. Ma come funzionò? Questo è ciò che cercarono di capire nel laboratorio di Mark Hargreaves a Melbourne, dove lavorarono assieme ad un ricercatore post-dottorato di nome Sean McGee, esperto nell’analisi dei cambiamenti molecolari provocati dall’esercizio.
Effettuarono biopsie muscolari da soggetti che eseguirono una singola sessione di allenamento a intervalli, comprendendo quattro sforzi ciclistici a tutto campo di 30 secondi con ogni sequenza separata da diversi minuti di riposo. Le analisi rivelarono due cose notevoli.
Innanzitutto, scoprirono che una serie di intervalli brevi e intensi poteva davvero accelerare la produzione di PGC-1α. Solo pochi minuti di sprint avevano attivato l’interruttore principale PGC-1α. Rimasero assolutamente sbalorditi. Ricorda, alcuni scienziati pensavano che l'interruttore PGC-1α potesse essere attivato solo per più di un'ora alla volta durante l'allenamento di resistenza. In effetti, la quantità totale di esercizio svolto dai soggetti era solo un ventesimo di quella eseguita in alcuni precedenti studi sulla resistenza e meno di un terzo del tempo totale di allenamento. Avevano dimostrato che questo interruttore principale, PGC-1α, poteva essere attivato con un esercizio inferiore di quanto chiunque avesse mai ritenuto possibile.
La seconda cosa importante scoperta nel laboratorio di Melbourne riguardava come l'interruttore PGC-1α venne attivato. Si scoprì che molti dei segnali che ritenevano aumentassero il PGC-1α dopo l’esercizio di resistenza, potevano essere attivati anche da alcuni brevi e intensi intervalli. Ad esempio, una delle proteine attivate era AMPK, la stessa che risponde a lunghi periodi di esercizio di resistenza.
A Melbourne, stabilirono che l’allenamento a intervalli attivava gli stessi percorsi che innescano gli adattamenti all’allenamento di resistenza.
Perché tutto questo è importante per te
Persistono misteri riguardo alla fisiologia dell'interval training. Cosa regola il lato cardiovascolare delle cose? Ad esempio, perché il cuore diventa una pompa migliore e come facciamo a far crescere più vasi sanguigni dopo alcuni intervalli brevi e faticosi? La dottoressa Maureen MacDonald, una fisiologa cardiovascolare, e altre menti brillanti in tutto il mondo lavorarono su queste importanti domande.
Tutto ritorna al concetto di indicatore del carburante. Il pensiero tradizionale era che l’esercizio di resistenza portava ad una progressiva diminuzione dell’ATP e ad un graduale svuotamento delle riserve di carburante necessarie per ricostituire l’ATP. La graduale riduzione delle riserve di carburante che avviene durante l'esercizio prolungato attiva i segnali molecolari che regolano l'adattamento e il rimodellamento muscolare. Quindi, per gli esercizi di resistenza, più lungo è l’esercizio e maggiore è l’esaurimento del carburante e - conseguentemente - maggiore è la risposta adattiva. Il mantra era: fai esercizio più a lungo e mettiti più in forma.
Tuttavia la situazione è diversa con gli intervalli. Con alcuni brevi sprint di venti o trenta secondi, il totale la quantità di carburante consumato è modesta, soprattutto se paragonata a ciò che può accadere in un periodo prolungato di moderato esercizio continuo di intensità. Eppure, dimostrarono che una serie di intervalli brevi e intensi possono attivare percorsi di segnalazione molecolare nella stessa misura dell’allenamento di resistenza tradizionale. Come può essere?
Con l'esercizio a intervalli, è drammatico valutare il cambio delle riserve di carburante nel muscolo. Tanto più il livello assoluto. La chiave di svolta fu valutare l’esaurimento del carburante. L’esercizio a intervalli è diverso dall’allenamento di resistenza perché nell’esercizio è coinvolta una maggior parte dei muscoli.
Le fibre muscolari sono generalmente raggruppate in due grandi categorie. Quelle di tipo I più piccole, chiamate anche fibre a contrazione lenta, costituiscono circa la metà del tessuto muscolare complessivo. Questi tendono ad essere “reclutate” per movimenti relativamente facili che non richiedono molta forza. Queste fibre sono anche quelle utilizzate principalmente durante gli esercizi di resistenza di moderata intensità.
Le fibre muscolari di tipo II, note anche come fibre a contrazione rapida, tendono ad essere reclutate per movimenti veloci e potenti che richiedono molta forza. Lo sforzo richiesto durante l’esercizio ad intervalli ad alta intensità recluta fibre muscolari di tipo I e quelle più grandi di tipo II. Lo sprint è un lavoro duro dove ci vogliono tutte le fibre muscolari per farlo. Poiché l'allenamento a intervalli recluta l'intero muscolo, questo consuma il carburante disponibile a un ritmo molto più veloce. Infatti, anche brevi durate innescano adattamenti dell'allenamento. Ricordi la teoria dell’adattamento allo stress di Hans Selye secondo cui gli effetti dell’esercizio derivavano dal disturbo dell’omeostasi del corpo? L'allenamento a intervalli può essere così efficace perché crea grandi cambiamenti dall'omeostasi, ovvero un elevato grado di stress in un breve lasso di tempo.
Altri studi illustrarono i vantaggi di una tecnica chiamata snacking per esercizi, ovvero suddividere un allenamento in più parti distribuite nell'arco della giornata. In uno studio del 2014 condotto dall’Università di Otago in Nuova Zelanda, i ricercatori monitorarono la glicemia nei soggetti che eseguirono due diversi interventi di esercizio. Il gruppo tradizionale effettuò 30 minuti di esercizio continuo una volta al giorno. Il gruppo che face spuntini, eseguì un allenamento a intervalli rapidi prima di ogni pasto, in particolare sei ripetizioni impegnative di camminata in pendenza della durata di un minuto. L’allenamento a intervalli si rivelò molto più efficace nel ridurre lo zucchero nel sangue dei soggetti, anche se il tempo totale trascorso nell’esercizio era lo stesso. Forse la suddivisione degli esercizi in questi snack crea ulteriori disturbi nell’equilibrio del corpo. Ed è per questo che è così efficace!
L’altra cosa che appresero dagli studi sull’interval training è che misurare anche il disturbo contava. Generalmente la lezione è aumentare il disturbo dell'omeostasi, aumentando pertanto l'adattamento. Quindi passare dall’omeostasi a riposo a una corsa leggera è positivo. Ma passare dal riposo alla corsa completa è meglio. E lo è ancora di più passare dal riposo allo sprint totale. Quindi, ripeti il numero di disturbi in un singolo allenamento eseguendo gli intervalli, siano essi intervalli di jogging leggero o test Wingate più duri che puoi.
Nel vecchio modo di pensare l’allenamento di resistenza, la cosa più importante era esaurirsi attraverso un esercizio lungo e lento, che a sua volta causava una lenta e costante diminuzione assoluta delle riserve di carburante. Ciò suggeriva che fosse meno una questione di intensità e più di durata, non tanto come difficile ci siamo esercitati ma quanto abbastanza a lungo da scaricare le batterie. Ma chi ha tempo libero infinito per esercitarsi?
Ora, il nuovo modo di pensare a intervalli suggeriva che la durata era molto meno importante dell'intensità. Il trucco era abbassare i livelli di carburante il più rapidamente possibile. Farlo una volta è fantastico. Ma farlo più frequentemente è meglio. La natura volatile dello stimolo è la chiave. Disturba l'omeostasi!
L'allenamento di resistenza tradizionale vede uno dei principali disturbi dell'omeostasi, proprio all'inizio. Al contrario, l'allenamento a intervalli offre tanti disturbi quante sono le ripetizioni. Sfruttare la potenza del disturbo che si verifica all’inizio dell’esercizio aerobico, solo in maniera più pronunciata. E poi farlo ancora e ancora e ancora.
Quindi non è solo la quantità assoluta di carburante nella cellula ma anche la velocità con cui le cose accadono. Questo è importante per le persone che non hanno molto tempo. Gli intervalli forniscono una scorciatoia. Puoi abbassare gli indicatori del carburante molto velocemente andando più difficile possibile, soprattutto se lo ripeti alcune volte. E ne trarrai vantaggio in una maniera che una volta si riteneva possibile solo con ore di esercizio.
Come tutto ebbe inizio
La cosa veramente rivoluzionaria dell’interval training si basava sul precetto che intensità è più importante della durata. Lo dirò in un altro modo.
Tieni presente che stiamo parlando di sviluppare e mantenere la capacità aerobica, ovvero la capacità di esercitare il corpo nel tempo. Questa sembra essere la forma di fitness più importante per mantenere una vita lunga, sana e attiva, oltre a combattere l’invecchiamento ed evitare molte malattie croniche. Le cose sono un po’ diverse se la tua unica preoccupazione è sviluppare la forza.
L'idea dell'esercizio ad alta intensità intervallata va contro le idee popolari sul fitness. Sembra strano ma il modo più efficiente in termini di tempo per preparare il tuo corpo a lavorare a un ritmo costante per lunghe distanze è andare molto veloce per brevi periodi di tempo. Oltretutto, questo approccio al fitness esiste da quasi un secolo portando a dozzine di record mondiali e medaglie d’oro olimpiche. Diede anche vita a molti dibattiti scientifici che si risolsero solo negli ultimi venti anni circa.
Sappiamo per certo che l’allenamento a intervalli rudimentale – il concetto di spingere forte per brevi distanze per sviluppare la capacità di andare a un ritmo costante per lunghe distanze – veniva utilizzato già un secolo fa, in Finlandia. Il corridore campione olimpico Hannes Kolehmainen vinse tre medaglie d'oro ai Giochi estivi del 1912 a Stoccolma, nei 5.000 metri, nei 10.000 metri e nelle gare di sci di fondo. Un altro corridore finlandese, Paavo Nurmi, utilizzò tecniche di allenamento a intervalli per vincere nove medaglie d'oro olimpiche, di cui cinque ai Giochi di Parigi del 1924, dove vinse l'oro nelle gare dei 1.500 e dei 5.000 metri nonostante si disputassero in soli cinquantacinque minuti. a parte. E il più grande innovatore della successiva generazione di corridori leggendari, Emil Zátopek, basò il suo allenamento sulle tecniche di Nurmi, al punto che gli intervalli erano praticamente tutto ciò che Zátopek faceva e in numeri che oggi sembrano incredibili.
Durante l'allenamento per le Olimpiadi del 1952, Zátopek condusse un allenamento quotidiano che prevedeva venti ripetizioni di uno sprint di 200 metri, quaranta ripetizioni di uno sprint di 400 metri e poi le ultime venti ripetizioni di uno sprint di 200 metri, secondo l'edizione del 1973 del libro di Fred Wilt "How They Train". Si tratta di un totale di quasi 15 miglia al giorno a intervalli e Zátopek correva lentamente tra gli intervalli per 200 metri alla volta.
Quindi in che modo l’allenamento di Zátopek influenzò la sua prestazione olimpica? Il corridore ceco decise di gareggiare nella maratona ai Giochi Olimpici del 1952, oltre alle gare di 5.000 e 10.000 metri, nonostante non avesse mai corso una maratona prima. Vinse entrambe le gare di media distanza quando poi arrivò la gara di lunga distanza. Ecco un uomo che si era allenato esclusivamente attraverso l'uso di brevi sprint per partecipare a un evento che richiedeva di correre a un ritmo veloce su una distanza di 22 miglia. Secondo la documentazione sugli straordinari momenti olimpici che raccontavano la maratona del 1952, Zátopek sentiva di non avere le conoscenze necessarie per affrontare un evento così lungo. Così decise di restare vicino al detentore del record mondiale, Jim Peters della Gran Bretagna, che corse le prime 10 miglia a un ritmo record. Zátopek accelerava, superando facilmente l'inglese. Poco dopo, uno scoraggiato Peters rimase senza benzina. Abbandonò la maratona e Zátopek vinse l'evento. La sua impresa di vincere l'oro nei 5.000 metri, nei 10.000 metri e nella maratona non fu mai eguagliata.
Due anni dopo lo straordinario successo di Zátopek alle Olimpiadi del 1952, un’altra prestazione storica contribuì a mostrare, ad allenatori e atleti, i vantaggi dell’allenamento a intervalli. All’epoca, il record mondiale sul miglio era detenuto dallo svedese Gunder Hägg, che nel 1945 corse la corsa in 4:01.4. Come raccontato nell’eccellente libro di Neal Bascomb, "The Perfect Mile", Roger Bannister era uno studente inglese che conseguiva la laurea in medicina all'Università di Oxford nel 1954. Bannister voleva battere non solo il record ma anche il miglio di quattro minuti. Poiché l'evento tendeva a svolgersi su una pista di un quarto di miglio, un record del genere richiedeva di correre più veloce di un minuto al giro per la gara di quattro giri. Quindi si allenò utilizzando gli intervalli - circa dieci sprint da un quarto di miglio - che iniziarono con un tempo medio di 66 secondi al giro, riuscendo alla fine a ridurre ad una media di 63 secondi.
Secondo Bascomb, Bannister fissò la data del 6 maggio 1954 per tentare di battere il record. La sede sarebbe stata la stessa pista di cemento dove Bannister aveva corso da studente universitario a Oxford. La giornata si rivelò ventosa dove la resistenza del vento influenzava la definizione di qualsiasi record. Ma pochi minuti prima dell'inizio della gara, l'aria si calmò e Bannister partì. Corse il primo giro in 58 secondi, il secondo in 60 secondi e il terzo in 63 secondi, il che significava che avrebbe dovuto percorrere l'ultimo giro in meno di 59 secondi. Cosa che poi fece, percorrendo il miglio in 3:59.4, ben 2 secondi più veloce del precedente record mondiale, in parte merito della sua voglia e forza di volontà, ma anche grazie alla strategia degli intervalli.
Ognuno di loro sfruttò il potere degli intervalli e il principio dell'intensità rispetto alla durata per condurre imprese atletiche straordinarie e da record, come fecero molti altri atleti dell'epoca, inclusi americani come l'allenatore di atletica dell'Università del Kansas Homer Woodson "Bill" Hargiss e Bill Bowerman dell'Università dell'Oregon, cofondatore di Nike.
Ciò fece emergere un enigma. Se questi corridori e allenatori erano abbastanza esperti sui benefici degli intervalli negli anni ’20, ’30, ’40 e ’50, allora perché ci volle così tanto tempo prima che tanti altri si mettessero al passo? La cultura mainstream visse un sacco di mode del fitness andare e venire: il jogging negli anni '70, l'aerobica di Jane Fonda negli anni '80, i campi di addestramento per il fitness negli anni '90. Allora perché abbiamo dovuto aspettare fino all'ultimo ventennio circa perché i benefici in termini di risparmio di tempo derivanti dall'allenamento a intervalli ad alta intensità passassero dagli atleti a quello tradizionale? Perché ci volle così tanto tempo per passare dalla pista ai nostri salotti e alle palestre?
Tutto ebbe inizio tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 in uno dei luoghi meno probabili immaginabili: la tundra ghiacciata dell’Artico canadese. Questo era il culmine della guerra fredda, quando gli Stati Uniti d’America, affrontavano la Russia comunista in una partita tattica di scacchi globale giocata con testate nucleari. Se mai la Russia avesse organizzato un attacco a sorpresa contro gli Stati Uniti, la via più breve passava dalla cima del mondo: il Canada settentrionale. Così l’alleato dell’America, il Canada, stazionò piloti e aerei in remoti avamposti nel Grande Nord Bianco. Gli aerei avrebbero dovuto essere pronti a in un attimo per decollare in aria e combattere i bombardieri russi che molti si aspettavano arrivassero dalle basi dell’aeronautica siberiana.
Il problema era che molti di questi piloti erano bloccati in luoghi dove in inverno il sole sorgeva a malapena e la temperatura media non superava quasi mai lo zero Fahrenheit. Molti persero la forma fisica perché non svolgevano abbastanza attività quotidiana. Verso la metà degli anni '50, un terzo dei piloti canadesi era così fuori forma da essere considerato non idoneo a volare.
Quindi la Royal Canadian Air Force decise di fare qualcosa al riguardo. Ricorda, tutto ciò iniziò negli anni ’50, quando la disciplina accademica delle scienze motorie esisteva a malapena. Ma fortunatamente il Dipartimento di Difesa Nazionale canadese ebbe uno dei primi scienziati a lavorare per questo. Il suo nome era Bill Orban, un ragazzino delle praterie canadesi che aveva frequentato l'Università della California, Berkeley, con una borsa di studio per l'hockey conseguendo il dottorato di ricerca presso l'Università dell'Illinois.
Orban era la persona perfetta per il lavoro. Come giocatore di hockey del Saskatchewan, era abituato alla sfida di mantenersi in forma in zone con inverni lunghi e bui. Un'altra cosa: aveva notato che i brevi periodi di attività sul ghiaccio dei giocatori di hockey erano straordinari nel fornire forma aerobica. Infine, mentre frequentava l'Università dell'Illinois, osservò che è possibile esercitarsi per lunghi periodi a bassa intensità senza necessariamente diventare più in forma. Mettendo insieme tutto ciò, concluse che la velocità e lo sforzo spesi durante un allenamento erano più importanti della durata complessiva dell'esercizio.
Il compito di Orban era arduo. Doveva mantenere questi aviatori canadesi in condizioni di combattimento nonostante vivessero in piccole scatole calde in remoti avamposti nel Grande Nord Bianco. L’allenamento dovrebbe essere condotto sotto rigide limitazioni. Non doveva richiedere nulla in termini di attrezzature per il fitness specializzate. Inoltre, doveva mantenere i suoi praticanti in forma e forti per combattere.
Il protocollo ideato da Orban era ingegnoso. Lo chiamò 5BX, che significava “cinque esercizi di base”, e lo inserì in una serie di allenamenti progressivamente più difficili progettati per essere ripetuti tre volte a settimana. La Royal Canadian Air Force testò e perfezionò il protocollo 5BX per tre anni. Orban progettò il livello base per le persone che non si erano mai allenate prima. Il livello più difficile era riservato agli “atleti campioni”: professionisti dello sport e olimpionici. Il livello di secondo livello iniziava con allungamenti in piedi progredendo verso i sit-up, le estensioni della schiena e flessioni. Terminava con l'esercizio più lungo: correre sul posto per una durata iniziale di 335 passi.
La parte migliore? Poiché si basava sull'intensità massima, l'allenamento durò complessivamente solo undici minuti. I critici del Dipartimento di Difesa Nazionale vollero che il programma includesse periodi di esercizio più lunghi ma Orban mantenne la sua posizione. Non erano necessari lunghi periodi di esercizio continuo per migliorare e mantenere la forma fisica. L'intensità era la cosa più importante.
La Royal Canadian Air Force (RCAF) prescriveva un addestramento a intervalli ad alta intensità ai suoi aviatori già alla fine degli anni '50. Ben presto l'allenamento si diffuse al di fuori dell'ambito militare. La RCAF pubblicò un opuscolo su 5BX che fu disponibile al grande pubblico nel 1961. La prima tiratura di sedicimila copie andò esaurita rapidamente. Quindi la RCAF la stampò di nuovo, in una quantità maggiore, e anche quella andò esaurita. Nel 1963, dopo molte altre stampe, alcune delle quali includevano un regime di fitness simile per le donne (noto con il termine XBX), il numero di opuscoli venduti ammontava a 5,8 milioni di copie, secondo un eccellente resoconto del fenomeno 5BX del giornalista Alex Hutchinson, pubblicato su Globe and Mail e posta. Negli anni successivi vennero pubblicate più di ventitré milioni di copie dell’allenamento 5BX. Il comico George Burns, che visse fino a cento anni, attribuì a 5BX la sua longevità e salute. Il principe William della Gran Bretagna fu un praticante entusiasta. E nel 2014, secondo Telegraph, Dame Helen Mirren lo citò come "l'elisir della sua giovinezza".
Alcuni elementi del 5BX non furono incoraggiati. Ad esempio, si diceva che gli esercizi per gli addominali suggeriti in alcune versioni del protocollo fossero dannosi per la schiena. Ma l’idea della Royal Canadian Air Force di un allenamento breve, da fare ovunque per integrare sia la capacità aerobica che la forza fisica, persiste tutt'oggi. "Il P90X è solo 5BX senza il marketing", osservò Carl Foster, ex presidente dell'American College of Sports Medicine. Allo stesso modo, il fisiologo dell’esercizio fisico Chris Jordan del Johnson & Johnson Human Performance Institute di Orlando, in Florida, pubblicò su ACSM’s Health and Fitness Journal un programma di allenamento a circuito ad alta intensità progettato per raggiungere obiettivi simili a quelli del 5BX. "La combinazione di allenamento aerobico e di resistenza in un programma ad alta intensità e a riposo limitato può offrire numerosi benefici per la salute in molto meno tempo rispetto ai programmi tradizionali", scrissero Jordan e il suo coautore, Brett Klika.
Secondo Hutchinson’s Globe and Mail, Jordan conosceva il 5BX grazie al suo lavoro come fisiologo per l'esercito britannico negli anni '90; in seguito, mentre lavorava per l'aeronautica americana, progettò un'altra versione per i piloti americani. Il New York Times Well Blog successivamente pubblicò, nel maggio 2013, il programma Jordan sotto il titolo "L'allenamento scientifico in sette minuti", aiutando il programma a raggiungere i livelli di popolarità con un software basato sul programma divenne uno dei programmi di fitness più scaricati.
A parte la strana anomalia di una moda del fitness, la domanda rimane: perché, se gli atleti sapessero quanto erano potenti gli intervalli negli anni '20, '30, '40 e '50, lo ignorarono?
La scienza dovette recuperare il ritardo. La disciplina della fisiologia dell’esercizio fisico era ancora relativamente giovane a metà del XX secolo. Non c'erano ancora le stesse cose che migliorano le prestazioni atletiche e la salute umana. In quei primi anni, il campo si occupava principalmente di descrivere le risposte fisiologiche di base all’esercizio fisico: la risposta circolatoria all’attività prolungata e quale effetto aveva la disidratazione sulla capacità lavorativa. Ci volle del tempo perché i primi fisiologi intraprendenti studiassero argomenti come i meccanismi di allenamento più efficienti in termini di tempo. Inoltre, gli atleti di pista competitivi non erano così trasparenti quando si trattava di condividere i loro segreti di allenamento. Dopo che i record vengono stabiliti, in genere passano anni o addirittura decenni prima che i vincitori rivelino i regimi di allenamento che gli hanno permesso di stabilire i migliori risultati globali. È anche importante rendersi conto che le pratiche di allenamento avvengono a ondate. Gli intervalli erano all'ordine del giorno per i corridori negli anni '50. In seguito, la corsa lunga e lenta - e la diminuzione del volume di allenamento nelle settimane precedenti una competizione - suscitaronomaggiore interesse.
L’allenamento a intervalli ebbe i suoi sostenitori e primi utilizzatori, i quali sostennero che intense esplosioni di esercizio fisico fossero un modo efficace per aumentare le prestazioni atletiche. Woldemar Gerschler, professore di educazione fisica e allenatore di atletica leggera all'Università di Friburgo, nel sud-ovest della Germania, era generalmente considerato il pioniere che per primo esaminò gli effetti fisiologici dell'allenamento a intervalli in modo disciplinato e scientifico a partire dalla fine degli anni '30. Secondo un articolo dell'allenatore di pista Peter Thompson in Athletics Weekly, l'allenamento a intervalli di Gerschler aiutarono l'atleta tedesco Rudolf Harbig a correre 800 metri in 1:46.6 battendo il precedente record mondiale di 1,6 secondi. Il record sarebbe durato ben sedici anni, secondo Thompson, e anche il successivo atleta a batterlo, Roger Moens, fu allenato da Gerschler. Ancora più sorprendente, un mese dopo aver stabilito il record degli 800 metri, Harbig corse i 400 metri in un altro tempo record di 46 secondi netti.
Grazie a tali risultati, Gerschler divenne una presenza molto citata nelle riviste di atletica in lingua inglese nei decenni successivi e fu coautore di un libro in lingua tedesca sull'argomento. Nel 1959 i cardiologi Hans Reindell e Helmut Roskamm, collaboratori di Gerschler, pubblicarono la prima descrizione dell’interval training su una rivista scientifica. Gerschler considerava l'allenamento a intervalli superiore all'allenamento di resistenza standard e stazionario perché migliorava le prestazioni più rapidamente. “La corsa su lunga distanza, lenta e ininterrotta, richiede un allenamento su distanze eccezionalmente lunghe per ottenere i potenti stimoli necessari”, scriveva in un articolo del 1963 per la newsletter Track Technique. "Ciò richiederebbe di correre giorno dopo giorno, per ore, il che stancherebbe più per la sua monotonia che per gli sforzi richiesti." L’anno successivo, in un’intervista per la stessa pubblicazione, disse: “Le nostre osservazioni ci hanno insegnato che correre su lunghe distanze con uno sforzo minimo per l’individuo è quasi inutile”. Gli scritti di Gerschler riflettono una rivalità tra l’allenamento a intervalli e i metodi tradizionali di corsa di resistenza che esiste ancora oggi: “La corsa su lunghe distanze allo scopo di aumentare la capacità di correre più velocemente in una gara di media distanza non ha sicuramente alcuna importanza”.
Fu Edward L. Fox il cui evangelismo per gli intervalli si avvicinò di più a spingere il metodo di allenamento in qualcosa che il mainstream considerava un fitness che promuove la salute. Professore alla Ohio State University, Fox si interessò alla scienza dell'allenamento a intervalli dopo essere rimasto colpito dalla sua potenza mentre conduceva ricerche per l'esercito americano. All’inizio degli anni ’60, Washington temeva che la Cina comunista avrebbe attaccato l’India, alleata dell’America nella guerra fredda, invadendo l’Himalaya, la catena montuosa più alta del mondo. Washington voleva sapere come se la sarebbero cavata i soldati americani se migliaia di loro fossero stati improvvisamente paracadutati sulle vette e sulle valli ad alta quota che dominavano il confine indiano-cinese. Così assunsero Fox e il suo mentore accademico presso l'Ohio State, Donald K. Mathews, per ideare un esperimento.
Fox e molti altri scienziati dell'Ohio State condussero le loro ricerche nel 1963. Come ricordato da Dick Bowers della Bowling Green University, che contribuì a condurre lo studio, gli scienziati divisero un numero di soldati in due gruppi. Uno condusse circa un'ora di allenamento a intervalli al giorno per otto-dieci settimane, mentre il secondo due o tre ore di allenamento fisico convenzionale dell'esercito come ginnastica ritmica e marcia veloce. Alla fine, gli scienziati trasportarono le truppe nella Sierra Nevada, in California, dove trascorsero tre settimane sottoponendosi a test su aspetti come l’abilità di tiro con i fucili. Come a volte accade nella scienza, la cosa più importante di questo studio aveva poco a che fare con il risultato atteso. Si scoprì che il fitness forniva poca protezione dal mal di montagna, che era l'argomento che interessava davvero all'esercito americano. Ma gli scienziati rimasero stupiti da qualcosa che notarono dopo l'addestramento preliminare. Nonostante il gruppo dell’intervallo trascorse molto meno tempo ad allenarsi rispetto al gruppo dell’esercizio stazionario, i livelli di forma fisica di tutti i soldati furono più o meno gli stessi.
I risultati incuriosirono abbastanza l’esercito da incaricare Mathews e Fox, tra gli altri, di condurre ulteriori studi sui benefici dell’allenamento a intervalli. Forse, pensava l'esercito, la tecnica avrebbe potuto più rapidamente mettere le reclute civili deboli in condizioni di combattimento. Invece di mandare i soldati in quelle corse di dieci miglia con i loro stivali dalla punta d'acciaio, i sergenti istruttori dell'addestramento di base potevano spingere le loro cariche attraverso una serie di sprint a tutto campo.
“Sembra”, concluse Mathews, Fox e i loro coautori dopo il secondo studio, “che un programma di allenamento a intervalli che enfatizza la corsa su brevi distanze possa produrre il massimo miglioramento della resistenza cardiovascolare in funzione del tempo impiegato nell’allenamento”. Altrove, Mathews e Fox suggerì che “il più grande vantaggio del programma a intervalli rispetto al programma dell’esercito è la quantità di tempo relativamente modesta richiesta per sessione per ottenere i risultati desiderati”.
Più di mezzo secolo fa, in altre parole, i ricercatori capirono che l’allenamento a intervalli era la maniera più veloce ed efficace per migliorare la forma fisica in modo efficiente in termini di tempo. Fox e Mathews furono coautori del libro "The Physiological Basis of Physical Education and Athletics" che fornì un programma di condizionamento per lo sport e il fitness generale. Il libro di testo afferma: “L’allenamento a intervalli è il modo supremo per condizionare una persona”.
Mathews e Fox credevano così ardentemente nel potere del metodo che attribuirono alla tecnica lo stimolo a un forte calo storico dei record mondiali per le gare di 100 metri, 400 metri, 1.500 metri e maratona a partire dal 1900. In effetti, "l'uomo dovrebbe piuttosto svolgere tutto il lavoro fisico a intervalli che continuamente”, cos' scrissero. “Per l’allenatore e l’atleta, i programmi di allenamento a intervalli dovrebbero costituire la base del condizionamento inclusi velocisti, lanciatori del peso ed anche il dirigente aziendale". In effetti, forse lasciando che il loro entusiasmo per l’approccio avesse la meglio su di loro, gli uomini sostenevano un approccio a intervalli per qualsiasi cosa, dallo spalare la neve all’aspirare il soggiorno al pulire il giardino.
Concluse Fox nell’introduzione. "L'allenamento a intervalli è l'approccio al fitness di maggior successo e meno doloroso che conosciamo."
Ma pochi lo ascoltarono. Gli scienziati di quell’epoca non erano d’accordo sul fatto che l’allenamento a intervalli fosse migliore dell’allenamento di resistenza. Uno dei nomi più importanti che intervenne sull'argomento fu il fisiologo scandinavo Bengt Saltin, che partecipò ad alcuni dei primi articoli accademici scritti in inglese sulle proprietà uniche dell'allenamento a intervalli.
Saltin fu il primo presidente dell'European College of Sport Science e autore di quasi cinquecento pubblicazioni su riviste scientifiche. Saltin era uno dei nomi più rispettati nel campo della fisiologia e direttore del Copenhagen Muscle Research Center presso l'Università di Copenaghen.
Bengt aveva agito come soggetto di ricerca e coautore di uno dei primi studi pubblicati sull'argomento in una rivista sottoposta a revisione paritaria. Influenzò il dibattito negli anni ’70, quando i fisiologi erano divisi sulla questione se fosse preferibile l’allenamento a intervalli o quello continuo. “Diversi autori sono convinti che l’allenamento intermittente porti al miglior miglioramento possibile della resistenza”, scrisse Bengt nel 1976, usando uno dei primi sinonimi di “allenamento a intervalli”. Tuttavia concluse che “l’allenamento a intervalli non sembra avere un vantaggio rispetto all’allenamento continuo nel migliorare la capacità di resistenza”.
Le opinioni di Bengt hanno contribuirono a creare un certo punto di vista nella comunità scientifica. Edward L. Fox sosteneva che l'allenamento a intervalli fosse un modo straordinariamente efficace per suscitare adattamenti fisiologici e prestazionali. Ma negli anni ’70, l’atteggiamento prevalente era che l’allenamento continuo e quello a intervalli fossero quasi uguali. Uno non era migliore dell’altro se confrontato con il tempo totale trascorso dalle persone ad allenarsi. Scienziati come Fox, con i loro suggerimenti secondo cui l'esercito avrebbe dovuto sottoporre i suoi soldati a sprint nell'addestramento di base, piuttosto che a marce forzate dispendiose in termini di tempo, erano considerati valori anomali.
Uno studio influente, citato da Bengt e altri, venne condotto da Duane O. Eddy della Ball State University dell’Indiana. I ricercatori presero due gruppi di soggetti in età universitaria e li sottoposero a due diversi programmi di formazione. Al primo gruppo venne richiesto di pedalare continuamente su una bicicletta stazionaria a un ritmo moderato pari al 70% del proprio VO2max. L'altro gruppo effettuò gli intervalli minuto dopo minuto, alternando sprint al 100% del loro VO2max con un'andatura facile. L'allenamento venne calibrato in modo che i due gruppi bruciassero circa la stessa quantità di calorie durante i due tipi di esercizio. Al termine di sette settimane di allenamento, i ricercatori valutarono la forma fisica dei due gruppi. I risultati furono quasi identici. Sulla base dei risultati dello studio di Eddy, Bengt concluse nel 1976 che “l’allenamento a intervalli non sembra avere un vantaggio rispetto all’allenamento continuo nel migliorare la capacità di resistenza”.
Il problema riguardava l'intensità degli intervalli utilizzati dai ricercatori. Il ritmo dello sprint richiesto doveva essere due o tre volte superiore al carico di lavoro per raggiungere il VO2max.
Al contrario, gli intervalli che Eddy e i suoi colleghi scienziati chiesero ai loro soggetti di eseguire sforzi relativamente facili.
Gli intervalli di Eddy non erano abbastanza duri. L’influente studio della metà degli anni ’70 che portò Bengt Saltin e, sospetto, molti altri fisiologi a concludere che l’allenamento a intervalli era potente quanto l’allenamento continuo, si rivelò basato su un programma di allenamento non abbastanza intenso. Questo fu il motivo per cui l’allenamento a intervalli non divenne popolare negli anni ’70.
Il più grande sostenitore dell’allenamento a intervalli nella comunità scientifica, Ed Fox della Ohio State University, morì improvvisamente all’età di quarantaquattro anni nel 1983. Ma cosa sarebbe successo se Fox fosse vissuto abbastanza da condurre ulteriori studi sui benefici dell’allenamento a intervalli? Oppure se Eddy e i suoi colleghi ricercatori avessero chiesto di più ai loro soggetti di eseguire sprint a tutto campo? Il corso della storia sarebbe cambiato?
Il pubblico non iniziò a rendersi conto dei benefici dell’allenamento a intervalli fino al 1996, quando Izumi Tabata, fisiologo giapponese e assistente allenatore della squadra olimpica di pattinaggio di velocità giapponese, pubblicò uno studio sulla rivista Medicine and Science in Sports and Exercise. Lo studio contribuì a stabilire quanto potenti potrebbero essere gli intervalli per migliorare la forma fisica. Si basava su un metodo ideato dall'allenatore della squadra di pattinaggio di velocità giapponese, Irisawa Koichi, che funzionava così: dopo un riscaldamento di dieci minuti, i pattinatori eseguivano otto serie di sprint a tutto campo per soli venti secondi per intervallo, separati da intervalli di riposo di dieci secondi, per un totale di otto sprint e solo due minuti e quaranta secondi di duro esercizio. In particolare, Tabata chiese ai suoi soggetti di eseguire i loro sprint con un'intensità corrispondente al 170% del VO2max.
I pattinatori eseguirono il protocollo su una cyclette quattro volte a settimana. Il quinto giorno, pedalarono per trenta minuti a un ritmo moderato ed effettuarono quattro ripetizioni dei ventiduesimo sprint. Nonostante il poco esercizio fisico svolto dai soggetti, aumentarono il loro VO2max del 15%. Fu un notevole miglioramento considerando l’investimento di tempo relativamente ridotto.
Il protocollo non convenzionale di Tabata si diffuse nel mondo del personal training.
Successivi studi cominciarono a comprendere pienamente la questione: brevi intervalli, in particolare quelli eseguiti in modo totale, erano straordinariamente potenti per migliorare la forma fisica. La pubblicità intorno agli studi sembravano aiutare i non addetti ai lavori a comprendere il concetto che gli intervalli su come potevano essere un modo per mettersi in forma velocemente.
Oltre il semplice fitness
Ormai hai capito che l'allenamento a intervalli è efficace. Ma finora ci siamo concentrati principalmente su regimi di allenamento che aumentano le prestazioni atletiche. Questo paragrafo invece riguarderà l'effetto sulla salute.
Se chiedi alla maggior parte delle persone perché non fanno esercizio, ti risponderanno con un paio di scuse standard. Quella di gran lunga più comune in assoluto è “Non ho tempo”. Mettersi in forma sembra così travolgente per loro. Immaginano il fitness come qualcosa dall'altra parte di un vasto abisso. La gente è da una parte, si sente stanca e fuori forma. E dall'altro lato c'è il fitness e tutte le cose che ne derivano, come più energia, una prospettiva più luminosa, un corpo più sano e una vita più lunga.
Visualizzano mesi di esercizio per ore alla volta ogni settimana. Anche il pensiero di partenza mettersi in forma è travolgente. Ma stanno pensando al tipo tradizionale di esercizio ovvero l'approccio lento e costante. Non si rendono conto che esiste un metodo scientificamente diverso. Grazie all'allenamento a intervalli, sappiamo che puoi migliorare rapidamente la tua forma fisica. Già solo sei sessioni di allenamento a intervalli nell'arco di due settimane innescano adattamenti fisiologici. Sei sessioni, per un totale di una sola ora di intenso esercizio fisico, possono abbassare lo zucchero nel sangue nelle persone con diabete. Sei sessioni possono farti sentire come se fossi in forma. E se riesci a tollerarlo, un minuto di esercizio massimale, sotto forma di tre sprint a tutto campo per venti secondi ciascuno, può cambiare la tua fisiologia tanto quanto cinquanta minuti di ciclismo a un ritmo moderato.
Ma gli oppositori affermano che gli intervalli ad alta intensità sono solo per persone già in forma e veramente motivate. Sappiamo però che le cose non stanno proprio così!
L'analisi rischio-beneficio
Prima di parlare dei benefici per la salute, affrontiamo un aspetto che inevitabilmente emerge quando parliamo di allenamento a intervalli.
Non tutte le forme di allenamento a intervalli comportano esercizi super intensi. Per la stragrande maggioranza delle persone, qualsiasi esercizio è più sicuro che non fare nulla. Il rischio più grande è non alzarsi dal divano.
Pensandoci, tutto in realtà comporta qualche rischio. Uscire di casa la mattina è sempre più rischioso che restare in casa. Salire su un aereo per partire per una settimana di vacanza è sempre più rischioso che restare a casa. E uscire in barca a vela è sempre più rischioso che stare seduto nella tua stanza al resort tutto il giorno. Facciamo tutte queste cose perché hanno benefici che giustificano il rischio incrementale. Lo stesso, quindi, vale anche per l’esercizio.
Secondo un documento di sintesi del 2015 pubblicato dall’American College of Sports Medicine, “l’esercizio ad alta intensità ha un rischio acuto piccolo ma misurabile di complicanze delle malattie cardiovascolari”. Ciò significa che per un breve periodo durante e subito dopo l'esercizio vigoroso, esiste un rischio elevato di un evento cardiaco come un infarto.
Nel 2016 il Sports and Activity Leadership Council dell'American College of Cardiology citò uno studio che mostrava come il rischio di morte cardiaca improvvisa correlata a un esercizio fisico intenso era basso, pari a uno ogni 1,42 milioni di ore di esercizio, Parliamo comunque più del 17% rispetto ai periodi di attività fisica scarsa o assente. I cardiologi spiegarono quella conduzione.
Più periodi di esercizio fisico intenso, ridussero il rischio di infarto durante l'esercizio vigoroso. Sia che le persone facessero esercizi a intervalli o allenamenti basati sulla resistenza allo stato stazionario, coloro che spingevano l’intensità a livelli vigorosi cinque volte a settimana avevano un rischio “decisamente inferiore” di un attacco cardiaco rispetto a coloro che non ne facevano alcuno. Tali risultati dimostrarono che un’attività fisica vigorosa aumenta temporaneamente il rischio di eventi cardiaci acuti riducendo il rischio complessivo.
Nelle persone anziane, il rischio di morte cardiaca improvvisa durante o subito dopo l’esercizio aumenta quanto più vigorosamente lo si esercita. Ma un'attività vigorosa rende più in forma, il che diminuisce il rischio complessivo di morire.
Paul Thompson, direttore della cardiologia all’Hartford Hospital nel Connecticut e membro dello Sports and Activity Leadership Council, crede fermamente nell'esercizio fisico avendo completato oltre venti maratone di Boston. Infatti afferma: "Se sei totalmente sano, non c'è alcun aumento del rischio derivante dalle attività ad alta intensità". “Il problema è che se hai quaranta, cinquanta e sessant’anni potresti non sapere di soffrire di malattie come l’aterosclerosi. Non sai se hai colesterolo nell'arteria coronaria. La maggior parte degli attacchi cardiaci improvvisi si verificano in persone senza sintomi.
Sia il gruppo ad alta intensità che quello moderato vivranno più a lungo e avranno meno attacchi di cuore rispetto alle persone sedentarie.
In verità c’è un rischio leggermente maggiore a breve termine, così come un beneficio maggiore a lungo termine. L’efficienza in termini di tempo degli intervalli è il motivo per cui si allenava in questo modo da anni. Tuttavia, Thompson sottolinea che il rischio di un evento cardiovascolare improvviso aumenta con l’età. La conclusione è l'HIIT, generalmente, è sicuro per i giovani e per le persone sane.
Allenamento a intervalli e salute
I cambiamenti fisiologici che derivano dall’esercizio fisico che ci permettono di correre più velocemente e più duramente a breve termine, ci aiutano anche a vivere una vita più lunga e più attiva con meno malattie croniche. Ippocrate, a cui viene attribuita la fondazione della professione medica, disse che mangiare sano non basta per mantenere sana una persona ma deve anche fare esercizio. Ci volle buona parte del XX secolo prima che il legame tra attività fisica e salute fosse scientificamente stabilito. Alla fine degli anni Quaranta, il medico britannico Jeremy Morris iniziò a studiare la salute di circa 31.000 lavoratori dei trasporti pubblici della rete di autobus di Londra. Esistevano due ampie classi: autisti che pilotavano gli affollati autobus a due piani per le strade congestionate e coloro che si muovevano tra i passeggeri del veicolo, salendo e scendendo le scale per ritirare i biglietti e mantenere l’ordine.
Gli autisti restavano seduti per il 90% del tempo in cui lavoravano. Al contrario, gli altri salivano in media seicento gradini per ogni turno. In quello che chiamò London Transport Workers Study, Morris esaminò le cartelle cliniche dei dipendenti e calcolò l’incidenza di malattie cardiache. I lavoratori fisicamente più attivi subirono meno della metà degli attacchi cardiaci rispetto agli autisti contraendo malattie cardiache molto meno frequentemente. E quando si verificava un evento cardiaco, i lavoratori attivi avevano molte più probabilità di sopravvivere rispetto ai guidatori più sedentari.
Nel 1953 lo studio epidemiologico di Morris in Lancet fu uno dei primi tentativi di collegare il livello di attività al rischio di malattia in una vasta popolazione. Da allora, decine di studi epidemiologici stabilirono che l’esercizio fisico era associato a un ridotto rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e molte altre malattie. Riduce anche la mortalità o il rischio di morire per tutte le cause. Oggi sappiamo che l’esercizio fisico regolare è probabilmente la cosa più efficace che possiamo fare per prolungare la vita e migliorare la salute. Ecco perché disponiamo di linee guida di agenzie come l'American College of Sports Medicine e l'Organizzazione Mondiale della Sanità che sostengono 150 minuti di attività fisica aerobica settimanale di intensità moderata per promuovere la salute.
A differenza di altre agenzie di sanità pubblica, l’ACSM e l’OMS riconoscono un ruolo potenziale per l’intensità dell’esercizio fisico: le loro linee guida affermano che le persone possono optare per 75 minuti di allenamento vigoroso invece di 150 minuti di esercizio di intensità moderata. Gli studi suggeriscono che se aumenti l'intensità fino quasi al massimo, puoi aumentare la salute in un tempo ancora minore.
Gli intervalli combattono le malattie cardiovascolari
Come accennato in precedenza, la misurazione gold standard dell’idoneità cardiorespiratoria è il massimo consumo di ossigeno o VO2max. Ribadiamo nuovamente che stiamo parlando della velocità massima alla quale l'ossigeno viene utilizzato dal corpo durante un esercizio fisico intenso.
Gli scienziati hanno capito che VO2max risulta essere anche un indicatore importante della salute generale di una persona, una sorta di “numero magico” che contribuisce notevolmente a prevedere quanto a lungo vivrai e il rischio di sviluppare molte malattie croniche.
Probabilmente è la metrica più importante a nostra disposizione. Molti fattori determinano il tuo VO2max, alcuni dei quali puoi controllare (ad esempio livello di attività ed il fumo) e altri che non puoi controllare (età e sesso). Il singolo fattore più importante che determina le differenze individuali nel VO2max è la quantità di sangue che il tuo cuore può pompare.
Gli scienziati lo hanno capito in parte attraverso la fisiologia comparata, studiando le differenze fisiologiche in altri animali oltre agli esseri umani.
Confrontando animali di dimensioni simili ma con capacità aerobiche diverse, scoprirono che più grande è il cuore, maggiore è il suo VO2max. Ad esempio, un cane ha più del doppio del VO2max di una capra e un cuore grande il doppio. Allo stesso modo, un cavallo da corsa ha più del doppio del VO2max del suo cugino mammifero, il manzo. Ancora una volta, il cuore del cavallo da corsa pompa il doppio del sangue di quello di un manzo.
Il cuore è piuttosto notevole. In un tipico essere umano a riposo, può pompare circa dieci litri di sangue al minuto, indipendentemente dal fatto che la persona sia in forma o pigra.
Allora qual è il modo più efficace in termini di tempo per aumentare la capacità del cuore di pompare il sangue e - conseguentemente - aumentare il VO2max riducendo il rischio di malattie cardiovascolari e mortalità complessiva? Gli studi e prove provenienti da accademici di tutto il mondo suggeriscono che si tratta delle forme più intense di allenamento a intervalli. Sembra che l’HIIT migliori la forma cardiorespiratoria più di quanto faccia l’allenamento continuo a intensità moderata in un’ampia gamma di popolazioni, compresi i pazienti sani sedentari e con insufficienza cardiaca.
Tra poco parleremo di quei pazienti con insufficienza cardiaca, ma prima vediamo come un miglioramento della salute del cuore e dei polmoni si traduce in una durata di vita più lunga. Uno studio del 2013 pubblicato su European Heart Journal monitorò la salute di tutti i ciclisti francesi che parteciparono alla corsa ciclistica del Tour de France tra il 1947 e il 2012. Lo studio confrontò il rischio di mortalità di quei 786 ciclisti con quello della popolazione generale dei maschi adulti francesi. I ciclisti ebbero una riduzione del 41% del rischio di mortalità per tutte le cause rispetto al rischio medio della comunità. In altre parole, i ciclisti francesi tendevano a vivere 6,3 anni in più rispetto al maschio francese medio. Uno studio simile che confrontava i corridori con un gruppo di controllo medio negli Stati Uniti, pubblicato nel 2008 su Archives of Internal Medicine, dimostrò effetti ancora maggiori dovuti all'esercizio fisico, con il 15% dei corridori che morirono diciannove anni dopo l'inizio dello studio, rispetto al 34% del gruppo di controllo medio.
L’esercizio può ridurre la frequenza cardiaca a riposo di 20 battiti al minuto ed aumentare il volume di sangue che il cuore può pompare di circa il 20%. Sotto l’influenza dell’attività fisica, nelle persone normali le quattro camere di pompaggio del cuore diventano più grandi. Il muscolo cardiaco stesso diventa più forte riuscendo a pompare meglio. Anche i vasi sanguigni cambiano man mano che una persona diventa più in forma. C’è un miglioramento in qualcosa che gli scienziati chiamano “funzione endoteliale”. Ciò significa che le pareti dei vasi diventano più flessibili. Quando passiamo dal riposo a una sorta di attività fisica, il diametro interno dei nostri vasi sanguigni aumenta, consentendo un maggiore flusso di sangue. Una revisione degli studi scientifici del 2015 condotta dall’Università del Queensland in Australia rivelò che uno dei protocolli HIIT più utilizzati fu in grado di migliorare una misura chiave della funzione endoteliale del doppio rispetto al tradizionale esercizio moderato continuo. A breve termine, questo tipo di cambiamenti significa che il cuore non deve lavorare così duramente per portare il sangue alle parti del corpo che lo richiedono. A lungo termine, diminuisce la probabilità del tipo di eventi che tendono ad ucciderci, come infarti e ictus.
Per quanto riguarda il lunghissimo termine l'invecchiamento tende a cambiare il sistema cardiovascolare opposto come accade quando si diventa in forma. Con il passare del tempo, la capacità del cuore di pompare diminuisce e i vasi diventano più rigidi, diminuendo la loro capacità di trasportare il sangue. La cosa bella è che possiamo sostanzialmente rallentare, e in alcuni casi addirittura invertire, questo declino legato all’età. Il modo per farlo è attraverso l’esercizio. Ma di che genere?
Questa è la domanda che si pose la fisiologa cardiovascolare tedesca Katharina Meyer all’inizio degli anni ’90. Il lignaggio accademico di Meyer risale agli albori della ricerca sugli effetti dell’allenamento a intervalli sul corpo umano. È stata l'autrice principale degli studi supervisionati da Helmut Roskamm, coautore del primo articolo sull'allenamento a intervalli pubblicato in una rivista accademica nel 1959.
Alla fine degli anni '90 Meyer condusse una serie pionieristica di studi di allenamento a intervalli su pazienti con gravi problemi cardiovascolari, dallo scompenso cardiaco a coloro che erano stati sottoposti a intervento di bypass. Gli esperimenti furono molto in anticipo sui tempi.
Quelli più innovativi di Meyer applicarono l’allenamento a intervalli a pazienti affetti da insufficienza cardiaca cronica, una condizione in cui il cuore non pompa il sangue come dovrebbe. La condizione può svilupparsi dopo che l'organo viene danneggiato o indebolito da altre condizioni o malattie, inclusi gli attacchi lasciando i pazienti senza fiato per azioni che la maggior parte delle persone non considererebbe faticose, come camminare su una leggera pendenza. La scarsa capacità di pompaggio del cuore spesso provoca il ristagno di liquidi in altri tessuti, compresi i polmoni, causando stanchezza e poco fiato. In uno studio, pubblicato nel 1997, Meyer dimostrò che tre settimane di un protocollo di allenamento a intervalli migliorarono la funzione cardiaca nei pazienti con insufficienza, tanto che l’attività cardiorespiratoria aumentò di circa il 20%.
Allora si pensava che l’esercizio intenso fosse pericoloso per chiunque avesse qualsiasi tipo di problema cardiaco. Il fisiologo norvegese Ulrik Wisløff compilò a riguardo una breve storia della riabilitazione cardiaca.
Fino alla metà del XX secolo, i cardiologi prescrivevano ai pazienti sopravvissuti a gravi eventi cardiaci, come gli attacchi di cuore, il riposo a letto. In sostanza, dovevano giacere supini per trenta giorni. Non era consentita alcuna attività perché si pensava che bastasse per sanare le cicatrici causate dai loro attacchi di cuore.
Poi, nel 1952, una coppia di nome Samuel Levine e Bernard Lown suggerì che sarebbe stato meglio non restare completamente immobilizzati. Ben presto, altri cardiologi e scienziati suggerirono che i pazienti potevano essere in grado di svolgere alcune attività.
A partire dagli anni ’70, alcuni cardiologi e fisiologi affermavano che l’esercizio a bassa intensità che prescrivevano ai loro pazienti non fosse abbastanza faticoso. Ritenevano che in riabilitazione cardiaca potessero impegnarsi in sicurezza in attività molto più faticose. Alcune includevano l'allenamento a intervalli. Tra gli scienziati che condussero i primi studi sugli effetti dell’allenamento a intervalli sui pazienti cardiaci figurano Vojin Smodlaka a New York e Roy Shephard a Toronto. Il primo chiese ad alcuni pazienti di pedalare ad alta intensità per sessanta secondi alla volta, seguiti da trenta secondi di riposo e ripetere. Successivamente, Smodlaka scoprì che i pazienti cardiopatici che avevano completato il programma di allenamento a intervalli potevano esercitarsi per il doppio del tempo rispetto a quelli che si erano impegnati in un allenamento continuo.
Un cardiologo di Toronto di nome Terry Kavanagh convinse addirittura otto dei suoi pazienti, i quali avevano tutti avuto attacchi di cuore da uno a quattro anni prima, ad allenarsi per correre la maratona di Boston del 1973. Il loro allenamento prevedeva diversi tipi di sforzi a intervalli e sette degli otto pazienti cardiopatici completarono la competizione. Tuttavia, anche alla fine degli anni ’90, molti scienziati furono allarmati dagli studi che Katharina Meyer conduceva sui pazienti in riabilitazione cardiaca.
"Quando ho visto per la prima volta il lavoro di Meyer, ho rabbrividito", ricorda Carl Foster, fisiologo dell'Università del Wisconsin ed ex presidente dell'ACSM, che all'epoca gestiva il programma di riabilitazione cardiaca presso il Milwaukee Heart Institute.
In effetti, Foster sarebbe arrivato a introdurre l'allenamento a intervalli per i pazienti in riabilitazione cardiaca. Uno dei momenti chiave della sua conversione avvenne dopo che, con meraviglia, menzionò i risultati di Meyer a un'infermiera che aveva anni di esperienza di lavoro con pazienti cardiaci.
Il lavoro di Meyer stabilì qualcosa di controintuitivo riguardo al rapporto tra l’allenamento a intervalli e il cuore. I brevi e intensi scatti di allenamento a intervalli sottopongono a grande stress i muscoli scheletrici come le cosce che alimentano una cyclette. Ma poiché l’attività è avvenuta solo per un breve periodo, il muscolo cardiaco non ha dovuto lavorare così duramente come durante l’esercizio stazionario tipicamente prescritto ai pazienti cardiopatici. In uno studio, Meyer confrontò tre diversi protocolli di allenamento a intervalli con il tipo di esercizio moderato e continuo più comunemente prescritto ai pazienti con insufficienza cardiaca. Scoprì che i protocolli di allenamento a intervalli sollecitavano il cuore in una percentuale compresa tra il 12 e il 17% in meno rispetto al tradizionale allenamento aerobico. La nuova tecnica era in realtà significativamente più sicura per loro rispetto all’allenamento aerobico allo stato stazionario.
Gli scienziati che lavoravano presso l’ospedale universitario St. Olav di Trondheim, in Norvegia, estesero la ricerca di Meyer nel decennio successivo. Nel 2004 condussero uno studio comparativo che riunì un piccolo gruppo di pazienti con malattie cardiovascolari (attacchi di cuore, stent per aprire le arterie o bypass) sottoponendoli ad esercizi su un tapis roulant inclinato. I volontari vennero divisi in due gruppi. Nel corso di dieci settimane, entrambi condussero tre sessioni di allenamento a settimana, metà dei quali svolgeva esercizi regolari a regime stazionario e l’altra metà un allenamento a intervalli. Il gruppo dell'allenamento a intervalli si allenò per sessioni di trentatré minuti, inclusi cinque minuti di facile riscaldamento e poi quattro ripetizioni di sessioni di quattro minuti separate da intervalli di tre minuti, con un'intensità massima compresa tra l'85 e il 95% della loro intensità. Per eguagliare il lavoro svolto dal gruppo a intervalli, il gruppo allo stato stazionario condusse quarantuno minuti per sessione al 50-60% del VO2max.
Dopo l’intervento di dieci settimane, i pazienti allo stato stazionario migliorarono leggermente la loro forma fisica, mentre il gruppo con allenamento a intervalli migliorò molto. In effetti, il gruppo dell’allenamento a intervalli raddoppiò la forma cardiorespiratoria rispetto a quello del gruppo allo stato stazionario. I risultati di questo studio randomizzato e controllato dimostrarono che l’esercizio aerobico ad alta intensità è superiore rispetto all’esercizio ad intensità moderata per aumentare l’idoneità cardiorespiratoria nei pazienti con malattia coronarica stabili.
I risultati furono così promettenti che l’Ospedale universitario di St. Olav aderì a uno studio più ampio, questa volta clinico randomizzato pubblicato sulla prestigiosa rivista Circulation nel 2007 da Ulrik Wisløff e il suo team che confrontò i soggetti che eseguirono intervalli ad alta intensità con quelli che effettuarono esercizi continui a intensità moderate. Erano pazienti con insufficienza cardiaca, la maggior parte dei quali tendeva ad essere esclusa da studi scientifici perché considerati troppo pericolosi. Alcuni svolsero un allenamento di intensità moderata tre volte a settimana che prevedeva quarantasette minuti di camminata inclinata su un tapis roulant al 70-75% della frequenza cardiaca di picco. Il gruppo dell'intervallo ad alta intensità si riscaldò per dieci minuti per poi condurre quattro ripetizioni di intervalli di quattro minuti abbastanza difficili da portare la frequenza cardiaca fino al 90-95% della frequenza cardiaca di picco con ciascuna ripetizione separata da pause di tre minuti. Incluso il defaticamento, il gruppo a intervalli si allenò per nove minuti in meno rispetto al gruppo a allenamento continuo, trentotto minuti per sessione.
L’idoneità cardiorespiratoria del gruppo a intervallo, l’importantissimo indicatore del rischio di mortalità, aumentò tre volte rispetto a quella del gruppo a intervallo continuo. L’incremento fu un notevole 46% per il gruppo a intervalli, rispetto al 14% di quello continuo. Fu un enorme aumento della prestazione cardiorespiratoria per i pazienti in riabilitazione cardiaca.
Ma la cosa più notevole dello studio di Wisløff fu il modo in cui l’interval training cambiò il cuore dei pazienti. Si potevano effettivamente invertire alcuni dei danni verificati nelle persone con insufficienza cardiaca. Il risultato finale fu un miglioramento della frazione di eiezione, ovvero della quantità di sangue che viene pompata dal cuore quando si contrae. Ricordiamo che nell’insufficienza cardiaca, il cuore non pompa il sangue in modo efficiente. Spesso il muscolo cardiaco si ingrandisce, come se fosse sottoposto a uno stiramento eccessivo. L’obiettivo di un intervento è ripristinare la capacità di pompaggio del cuore, ripristinando la funzione di base dell’organo in modo che le pareti muscolari possano contrarsi e pompare efficacemente il sangue attraverso il resto del corpo.
Nel gruppo dell'allenamento a intervalli, la quantità di sangue che il cuore era in grado di pompare migliorò del 17% mentre nel gruppo continuo non ci fu alcun miglioramento. Infatti, secondo numerosi indicatori, l’esercizio intenso condotto a intervalli contribuì a invertire i danni dell’insufficienza cardiaca in modo molto più efficace rispetto all’allenamento continuo.
L’idea che la riabilitazione cardiaca debba includere l’attività fisica è ormai data per scontata. I centri cardiologici hanno anche le proprie aree di allenamento. Inoltre, esistono linee guida sugli esercizi per i pazienti cardiopatici. La maggior parte degli esercizi sono moderati continui, ovvero sforzi costanti e sostenuti su una cyclette o su un tapis roulant. Il problema è che molte persone non lo fanno. Solo il 25% dei pazienti cardiopatici pratica effettivamente questo tipo di attività.
Coloro che non partecipano ai programmi di riabilitazione citano la mancanza di tempo come motivo principale.
Quanto sono sicuri gli intervalli per i pazienti in riabilitazione cardiaca? Ulrik Wisløff condusse uno studio multicentrico che esaminò il rischio potenziale dell’esercizio fisico intenso nei pazienti in riabilitazione cardiaca, un campione considerato ad alto rischio fin dall’inizio. I pazienti camminavano su tapis roulant impostati in pendenza, con velocità impostate per suscitare determinati obiettivi di frequenza cardiaca. Ad esempio, durante dieci minuti di riscaldamento, la frequenza cardiaca target ammontava al 60-70% della frequenza cardiaca di picco. La fase principale consisteva in quattro intervalli della durata di quattro minuti, con l'intento di portare la frequenza cardiaca almeno all'85% e non più del 95% della frequenza cardiaca di picco.
Dopo sette anni di monitoraggio, dal 2004 al 2011, il gruppo di ricerca disponeva di dati su un gruppo di 4.846 pazienti con un'età media di cinquantotto anni. Prima dell’intervento di esercizio, tutti avevano sperimentato una vasta gamma di problemi cardiaci, inclusi infarti e insufficienza cardiaca. Tutti svolsero esercizi sia ad alta che a intensità moderata, con l’HIIT che rappresentava circa un terzo del numero totale di allenamenti. L’esercizio di intensità moderata fu la stessa camminata su tapis roulant utilizzata per l’HIIT, condotta a una velocità costante che manteneva la frequenza cardiaca inferiore o uguale al 70% del picco.
Quindi quanti sperimentarono effetti cardiaci avversi a seguito dell’esercizio fisico svolto? Nel corso di sette anni, i ricercatori monitorarono 175.820 sessioni di allenamento di circa un’ora ciascuna. Durante o immediatamente dopo 129.456 ore di moderato esercizio fisico, un paziente ebbe un arresto cardiaco fatale. E durante 46.364 ore di allenamento a intervalli ad alta intensità, due pazienti subirono arresti cardiaci non fatali.
La conclusione essenziale dello studio fu che il rischio di un evento cardiovascolare è basso sia dopo l’esercizio ad alta intensità che dopo l’esercizio di intensità moderata in un contesto di riabilitazione cardiaca supervisionato.
L'allenamento a intervalli combatte il diabete
Meno attivo sei e maggiore è il peso in eccesso che porti - pertanto - meno il tuo corpo è in grado di controllare i livelli di zucchero nel sangue. Alla fine le cose possono peggiorare così tanto che mancanza di attività e sovrappeso possono spingere le persone sedentarie a una condizione chiamata insulino-resistenza, o prediabete, che - fuori controllo - può portare al diabete conclamato.
Il diabete ha un impatto reale sulla qualità della vita di una persona. Le ferite non guariscono così rapidamente e si avverte stanchezza, sensazione di sete perpetua, minzione frequente, formicolio alle estremità e visione offuscata. Alla fine, puoi diventare cieco e, in casi estremi, gli arti devono essere amputati. Il diabete ti espone anche a un rischio maggiore di tutti i tipi di condizioni spiacevoli e pericolose. Ad esempio, i soggetti affetti da diabete di tipo 2 hanno il 50% in più di probabilità di avere un ictus rispetto alla popolazione generale. Inoltre, gestire il diabete può essere complicato. Esistono farmaci che riducono i livelli di zucchero nel sangue, ma hanno effetti collaterali. In casi estremi, chi soffre di diabete di tipo 2 dovrà anche farsi iniezioni regolari di insulina.
Questo è particolarmente un grosso problema negli Stati Uniti. Si stima che tra i 60 e i 75 milioni di americani siano resistenti all’insulina e quasi 40 milioni abbiano il diabete, di cui il 90-95% soffre di diabete di tipo 2. E la stragrande maggioranza di questi casi sono correlati a fattori legati allo stile di vita, come l’inattività e una dieta povera.
Due ottimi modi per gestire la resistenza all’insulina e mitigare gli effetti del diabete di tipo 2 sono l’esercizio fisico e la perdita di peso. Le attuali linee guida sull’attività fisica dell’American Diabetes Association raccomandano che le persone con diabete facciano almeno 150 minuti a settimana di esercizio fisico di intensità moderata. Il problema è che molte sentono di non avere il tempo per dedicarsi alla quantità di esercizio richiesta. Quindi abbiamo qualche indicazione che potrebbe esserci un altro modo? Un metodo più efficace in termini di tempo per migliorare il controllo della glicemia? Sì, e scommetto che puoi indovinare di cosa si tratta.
Anni fa vennero condotti degli studi sugli effetti dell’allenamento a intervalli nelle persone con diabete di tipo 2. Sapevano che l’allenamento a intervalli era particolarmente efficace nel migliorare rapidamente la capacità dei muscoli di assorbire lo zucchero.
Nello studio originale sui diabetici di tipo 2 inizialmente vennero esaminate soltanto otto persone. La loro età media era di sessantatré anni e l'indice di massa corporea medio era di 32 (categoria degli obesi). Per due settimane condussero un protocollo di allenamento a intervalli modificato sviluppato per cercare di sfruttare i benefici dell'allenamento più accessibile e meno inquietante per le persone sedentarie.
Similmente al programma di formazione di Katharina Meyer per i pazienti con insufficienza cardiaca, il nostro prevedeva sforzi intensi (ma non totali) della durata di un minuto. I soggetti eseguirono un totale di dieci ripetizioni su una cyclette, con un minuto di riposo in mezzo, per un totale di venti minuti, esclusi il riscaldamento e il defaticamento (un protocollo che successivamente venne soprannominato Ten by One dal dr Martin Gibala).
In media, la resistenza sulla cyclette stimolò circa l’85% della frequenza cardiaca massima del soggetto durante gli intervalli. Alla fine degli allenamenti, i partecipanti erano sudati e senza fiato seppur trovassero l’attività sopportabile. Infatti, su una scala di valutazione a 10 punti, dove 10 rappresenta lo sforzo più intenso possibile, i soggetti in media valutarono il primo intervallo circa 5 e l'ultimo circa 8. Fecero loro eseguire questo protocollo sei volte nell'arco di due settimane. Poi, venne confrontata la loro capacità di gestire i livelli di zucchero nel sangue prima e dopo le due settimane per vedere se l’esercizio avesse cambiato qualcosa.
Il periodo di formazione fu breve (solo sei sessioni in quattordici giorni). Per quantificarlo in modo diverso, venne chiesto di svolgere solo un’ora di intenso esercizio fisico durante l’intero esperimento. Nonostante si trattasse di una dose totale così piccola, alcune persone si chiedevano se i diabetici più anziani sarebbero stati in grado di eseguire il protocollo.
Molte persone obese e sedentarie tendono a trovare più facile il protocollo Ten by One che uscire e camminare per circa trenta minuti. Forse perché non ci vuole molto sforzo per portarle fino all’85 o al 90% della loro frequenza cardiaca massima.
Nel 2010, una volta che i soggetti terminarono le due settimane di allenamento, vennero piccoli dispositivi per il monitoraggio del glucosio sotto la pelle del loro addome che monitorarono i livelli di glucosio nel corso di un’intera giornata, effettuando misurazioni ogni cinque minuti. Ciò permise di analizzare quanto bene il corpo dei soggetti gestisse i livelli di zucchero nel sangue nell’arco di ventiquattro ore, anche quando mangiavano pasti standardizzati.
I risultati furono migliori di quanto ognuno i ricercatori si aspettassero. Quell’ora di esercizio procurò effetti notevoli. La concentrazione media di glucosio nel sangue diminuì del 13%.
Se prolungato nel tempo, questo tipo di diminuzione potrebbe migliorare la capacità del corpo di gestire lo zucchero nel sangue in modo tale da invertire effettivamente l’insorgenza del diabete di tipo 2.
Il diabete di tipo 2 richiede molto tempo per svilupparsi: tra i dieci e i quindici anni di livelli costantemente elevati di resistenza all’insulina, o prediabete. Ciò significa più di un decennio di vita sedentaria e dieta inadeguata.
Molte persone trovano opprimente la prospettiva di 150 minuti a settimana di esercizio fisico di intensità moderata. Sanno che dovrebbero esercitarsi ma semplicemente non ci riescono. Ricorrono invece a controllare il diabete con farmaci e - in casi estremi - con iniezioni di insulina.
Uno studio successivo del 2011 ed altri, dimostrarono che l’allenamento a intervalli ad alta intensità permette di gestire la glicemia e ridurre i sintomi della resistenza all’insulina e del diabete di tipo 2.
Come si inseriscono gli intervalli nelle linee guida?
Come siamo arrivati a questa linea guida secondo cui abbiamo bisogno di 150 minuti di esercizio fisico di intensità moderata a settimana per promuovere e mantenere la salute?
L’esercizio moderato e continuo, le lunghe ore di camminata, jogging, nuoto, ciclismo e le loro varianti, ricevono l’enfasi principalmente perché questo tipo di attività fisica è stata maggiormente studiata nella letteratura accademica. La stragrande maggioranza di questa ricerca è di natura epidemiologica in cui grandi gruppi di persone vengono seguiti nel tempo. Disponiamo di dati davvero validi per dimostrare che facendo molto esercizio fisico lungo e lento, si ha un minor rischio di morte e un minor rischio di contrarre il diabete di tipo 2 e malattie cardiovascolari, nonché alcuni tipi di cancro. Esistono molti studi sul metodo lungo e lento perché è così che la maggior parte delle persone pratica l’attività fisica.
Abbiamo molti meno dati sui benefici dell’allenamento a intervalli.
Decine di studi di questo tipo hanno scoperto che l’allenamento continuo di intensità moderata migliora la salute umana a lungo termine. L’allenamento a intervalli è così all’avanguardia che è ancora nelle prime fasi di test nonostante oltre 20 di ricerca e studi. Ulrik Wisløff fu l'autore senior del primo studio clinico randomizzato e controllato sull'allenamento ad intervalli ad alta intensità e sulla salute umana.
Le organizzazioni sanitarie vogliono vedere prima di incorporare un linguaggio specifico sull'allenamento ad alta intensità e con intervalli di sprint nelle loro linee guida sugli esercizi.
Quindi, se l’allenamento a intervalli rientra nelle linee guida sugli esercizi, come si “contano” gli allenamenti rispetto ai totali settimanali delle linee guida? Ricordiamo che l'American College of Sports Medicine richiede 150 minuti di esercizio moderato a settimana o 75 minuti a settimana di esercizio intenso. E diciamo che l’allenamento a intervalli di cui stiamo discutendo è il protocollo Ten by One utilizzato negli studi menzionati prima su persone con malattie cardiovascolari e diabete. Questo prevede dieci sforzi intensi di sessanta secondi ciascuno e dura circa venticinque minuti se si considerano i periodi di riscaldamento, defaticamento e recupero tra gli intervalli. L'allenamento a intervalli ad alta intensità appartiene alla categoria degli esercizi "vigorosi". In questi casi, le linee guida permetterebbero di contare il tempo totale trascorso a praticare questo sport, anche se ogni sport basato sul gioco includono molti momenti di inattività, come le pause tra i servizi di tennis o il tempo che i giocatori di basket trascorrono in piedi mentre qualcuno batte un tiro libero.
Quindi, se l'intero allenamento Ten by One richiede venticinque minuti del tuo tempo, dovresti ripetere l'allenamento tre volte a settimana per soddisfare lo spirito delle linee guida. Il punto è che non conti solo il tempo impiegato a fare gli sprint duri ma contano anche i periodi di recupero.
A questo punto, sia che si parli di variare la velocità durante una camminata o di sprint di venti secondi, spero di averti convinto che probabilmente esiste un metodo di allenamento a intervalli adatto a te.
Una spaccatura nel mondo accademico
I fisiologi in generale tendono ad essere piuttosto entusiasti dell’interval training per tutte le ragioni sopra indicate. Ma il dibattito tra gli psicologi è più fervente. L'opposizione alla tecnica è esemplificata da uno studio scritto da uno psicologo della Curtin University di Perth, in Australia. Si chiama Sarah Hardcastle ed è specializzata in esercizi.
In un articolo del 2014 pubblicato su Frontiers of Psychology, Hardcastle sostiene che l'allenamento a intervalli di sprint è troppo difficile da fare per la maggior parte delle persone. Quindi si chiedeva se una popolazione sedentaria si sentirebbe fisicamente capace e sufficientemente motivata ad intraprendere e mantenere un regime di esercizio fisico molto intenso. L’allenamento a intervalli di sprint è probabile che sia considerato troppo arduo e possa evocare un’incompetenza percepita, una minore autostima e un potenziale fallimento.
Certo, l’allenamento a intervalli è davvero efficace, dice Hardcastle, ma per la maggior parte delle persone è troppo difficile, fisicamente e psicologicamente. Lei però va anche oltre, sostenendo che l’esercizio ad alta intensità è probabile che evochi affetti negativi che possono portare alla successiva riluttanza di ulteriori esercizi.
Alcuni psicologi dell’esercizio molto rispettati respinsero completamente l’allenamento ad intervalli ad alta intensità come un meccanismo in grado di influenzare la salute pubblica. Semplicemente pensavano che le persone lo avrebbero fatto. La convinzione generale nella programmazione degli esercizi negli Stati Uniti è che la popolazione preferirebbe esercitarsi a bassa intensità per un lungo periodo piuttosto che ad alta intensità per un breve periodo.
Nel giugno 2015 il dibattito si riaccese in occasione dell’incontro annuale della Società Internazionale per la Nutrizione Comportamentale e l’Attività Fisica, che quell’anno si svolse a Edimburgo, in Scozia. Davanti a una folla di circa quattrocento persone, nel Pentland Auditorium dell’Edinburgh International Conference Centre, lo psicologo Stuart Biddle della Victoria University in Australia sostenne che la potenza dell’allenamento a intervalli era in gran parte inutile perché poche persone lo avrebbero mai fatto.
A quanto pare, tuttavia, molte persone trovano l'interval training più divertente rispetto all’esercizio convenzionale.
Il punto di vista di uno psicologo
Come psicologa dell’esercizio, Mary Jung era la persona perfetta per affrontare il problema della simpatia dell’interval training. Conobbe Jung quando era studentessa di un master nel corso di laurea in kinesiologia presso McMaster.
Al tempo, studiava come incoraggiare al meglio le persone a dieta a rispettare i loro piani alimentari.
Vide un soggetto di un test che lavorava più duramente che poteva su una cyclette con la musica a tutto volume e persone attorno per osservarlo. Jung non aveva idea di cosa stessero facendo ma voleva farne parte. E col passare del tempo, applicò un punto di vista psicologico allo studio dell’allenamento a intervalli. Il suo lavoro esaminò quanto i soggetti abbiano apprezzato l'allenamento a intervalli e se lo applicassero anche in futuro.
L’interesse di Jung per la psicologia dell’esercizio precede di gran lunga il suo periodo da studentessa laureata. Al liceo, dava lezioni di spinning, aerobica, step, allenamenti nel campo di addestramento, kickboxing ecc. Oltre al suo dottorato in psicologia dell'esercizio fisico, gestiva il laboratorio di psicologia della salute e dell'esercizio fisico presso il campus di Okanagan dell'Università della British Columbia, dove il suo interesse di ricerca si basava sull'intersezione tra esercizio fisico e psicologia. Indagava su come alcune persone sviluppavano grandi abitudini di esercizio fisico mentre altre si rifiutavano totalmente.
Nel 2013, Jung incontrò dei critici che sostenevano che le varie iterazioni dell’allenamento a intervalli fossero troppo difficili da condurre, e si sentì un po’ frustrata. Aveva assistito in prima persona a come le persone apprezzassero la varietà e la potenza dell'allenamento a intervalli ad alta intensità. Non solo Jung sapeva che a molti piacevano gli allenamenti HIIT. Lei stessa testò come l’HIIT fosse più velocemente accettato una volta iniziato.
Jung comprendeva come il ridotto impegno di tempo dell’allenamento a intervalli eliminava le barriere che impediscono alle persone di fare esercizio.
Ciò che è considerato ad alta intensità per un individuo che non si esercita da anni appare drasticamente diverso dalle nozioni evocate di esercizio a tutto campo eseguite dagli atleti e nelle lezioni del campo di addestramento. Qualcuno completamente fuori forma potrebbe ottenere i benefici extra-potenti dell'allenamento a intervalli semplicemente camminando su una leggera collina, girandosi per tornare indietro e ripetendo l'operazione una manciata di volte.
Molte persone non capiscono cosa sia l’interval training. Hanno visioni di questi allenamenti da campo di addestramento in stile militare.
Lo studio comparativo
Il passo successivo fu quello di condurre un esame scientifico che confrontasse le sensazioni degli atleti di livello principiante durante l’HIIT e durante l’esercizio moderato continuo. Fu una delle prime volte in cui un investigatore esaminava questo particolare aspetto dell'HIIT. Jung mirava a rendere lo studio il più realistico e pratico possibile. Attraverso i manifesti affissi nel campus di Okanagan, lei e i suoi colleghi ricercatori reclutarono quarantaquattro giovani che non erano esattamente sedentari ma certamente nemmeno atleti: si allenavano meno di due volte a settimana. Poi chiese loro di condurre tre diversi allenamenti.
Il primo fu un allenamento continuo di moderata intensità su una cyclette della durata di quaranta minuti, che vide i soggetti allenarsi al 40% della loro potenza massima e aumentare la frequenza cardiaca media al 69% del loro picco. Un secondo fu un allenamento continuo ad intensità vigorosa che li vide allenarsi per venti minuti all'80% della loro potenza massima che portò la frequenza cardiaca media a circa l'89% del loro picco. E il terzo fu l'allenamento a intervalli. Per questo studio Jung utilizzò il protocollo Ten by One utilizzato per i soggetti meno atletici come le persone sedentarie e quelle con diabete.
In vari momenti durante e dopo i tre allenamenti, ai soggetti venne chiesto di valutare come si sentivano. Quindi, venti minuti dopo aver finito, i ricercatori chiesero loro quanto probabilmente avrebbero ripreso il tipo di allenamento che avevano appena completato.
Secondo le loro valutazioni su una scala a 11 punti, i soggetti si sentivano bene durante l’esercizio moderato continuo, appena bene durante l’HIIT e piuttosto male durante l’esercizio vigoroso continuo. Ma una delle cose più interessanti dello studio fu il miglioramento dell’autovalutazione dei soggetti verificatosi venti minuti dopo l’allenamento HIIT. Jung lo chiamò “effetto rimbalzo positivo”. In altre parole, venti minuti dopo la fine dell’allenamento, tutti e tre i gruppi si sentivano molto meglio rispetto a quando si erano allenati durante gli allenamenti, ma i gruppi moderati e a intervalli si sentivano meglio.
Successivamente, ai partecipanti venne chiesto di valutare la loro probabilità di impegnarsi in uno qualsiasi dei tre allenamenti in futuro.
Jung e i suoi coautori intervistarono il gruppo su quale attività apprezzassero maggiormente. L’HIIT venne classificato come leggermente più divertente dell’esercizio moderato, che a sua volta venne valutato più divertente dell’esercizio vigoroso.
Infine, quando venne chiesto di indicare un esercizio come preferito, i soggetti affermarono di preferire di gran lunga l’HIIT. Ventiquattro di loro hanno identificarono gli intervalli come esercizio preferito, mentre tredici preferirono un esercizio moderato continuo e quattro un esercizio vigoroso continuo. Presumibilmente, i restanti tre non hanno indicato alcuna preferenza.
Quindi i soggetti si sentivano semplicemente bene mentre facevano l'allenamento HIIT, ma poi scelsero a stragrande maggioranza come preferito. L’approccio a intervalli, afferma Mary Jung, scompone le sessioni di allenamento in brevi sessioni superabili, consentendo potenzialmente molteplici esperienze di successo. In altre parole, quando i soggetti completavano uno sprint, si sentivano come se lo avessero compiuto qualcosa. E quel senso di realizzazione compensò il disagio dell’intervallo più faticoso. L'allenamento gli fece provare una sensazione che non avevano mai provato prima. Oltre a ciò, considerarono il risparmio di tempo. Nel loro insieme, secondo Jung, tutto ciò è sufficiente per giustificare il motivo per cui i soggetti preferivano l’allenamento a intervalli rispetto alle altre due forme di allenamento.
Questi studi dimostrano come le persone suano più sofisticate di quanto credano alcuni psicologi dell’esercizio fisico.
Il vecchio pensiero, che suggerisce che la maggior parte difficilmente eseguirà esercizi difficili non sembra applicarsi all’interval training. Lo studio di Jung mostra che le persone apprezzano i benefici dell'HIIT in termini di tempo. Inoltre, tengono conto dell'aumento di fiducia che si verifica dopo aver completato un allenamento. Infine, gli allenamenti a intervalli tendono ad essere meno noiosi di quelli convenzionali.
Jung ha anche dimostrato che le persone preferiscono l’HIIT anche per un altro motivo. Trascorse gli ultimi anni seguendo individui sedentari e diabetici attraverso programmi di allenamento a intervalli.
Ad esempio, nel 2015, nel Journal of Diabetes Research, Jung e i suoi coautori pubblicarono uno studio su ventisei adulti attraverso uno dei due programmi di esercizi di dodici giorni, uno caratterizzato solo da intervalli, l'altro da esercizi continui di moderata intensità. Si trattava di adulti di mezza età piuttosto fuori forma e qualificati come prediabetici. Il gruppo moderato riuscì a gestire solo venti minuti di esercizio continuo alla volta e gradualmente fino a cinquanta minuti. Il gruppo dell’intervallo riuscì a gestire solo quattro intervalli da un minuto separati da un minuto di riposo e nel corso dei dodici giorni lavorò fino all'allenamento standard Ten by One. Quindi Jung e il suo gruppo lasciarono i soggetti in pace per un mese.
Quando ricontrollarono i soggetti dopo un mese, scoprirono che il gruppo che si allenava a intervalli aveva molte più probabilità di eseguire esercizi vigorosi da solo rispetto al gruppo che aveva condotto esercizi di intensità moderata. Infatti, un mese dopo la fine del programma di allenamento, il gruppo a intervallo raddoppiò la quantità di esercizio vigoroso condotto in precedenza. Uno studio simile, che non venne ancora reso pubblicato mentre stavano svolgendo le mie ricerche per questo libro, rivelò risultati analoghi dopo sei mesi.
Jung ritenne che l’allenamento a intervalli sia più efficace dell’esercizio continuo di intensità moderata nel far comprendere alle persone i benefici dell’esercizio. Dal punto di vista psicologico le persone che trascorsero gran parte della loro vita evitando l’esercizio fisico perché pensavano che non fosse adatto a loro. Mentre, seguendo un programma di allenamento a intervalli ottennero un enorme aumento di fiducia.
C’è anche il fatto che i cambiamenti fisici avvengono prima nelle persone che fanno allenamenti a intervalli rispetto a quelli che seguono un allenamento continuo di intensità moderata. Le scale diventano molto più facili da salire. In generale, si sentono semplicemente meglio. Ciò suscita una buona atmosfera, buoni sentimenti, orgoglio.
Bibliografia
Long-term AICAR administration and exercise prevents diabetes in ZDF rats
Muscle performance and enzymatic adaptations to sprint interval training
Very intense exercise-training is extremely potent and time efficient: a reminder
How 5BX, an exercise regimen created to keep pilots in shape, can help you get fit
Mortality of French participants in the Tour de France (1947–2012)
Reduced Disability and Mortality Among Aging Runners: A 21-Year Longitudinal Study
Application of Calcium Antagonists in Patients with Prinzmetal Angina Pectoris
Remembering Dr. Terry Kavanagh, a pioneer in cardiac rehabilitation
HIIT training as a method of managing type 2 diabetes mellitus